Ci sono storie d’amore che hanno il sapore di un romanzo antico. Un sapore che nasce da conoscenza casuale nello scompartimento di un treno popolare negli anni Trenta del Novecento, dalla promessa di rimanere uniti, nonostante tutto, nonostante i pericoli e le divisioni che la guerra porta con sé. Protagonisti di questa storia legata alla Sardegna e all’Unione Sarda sono Franco e Filomena, detta “Filina”. A farla riemergere dalle polveri del tempo è Michelangelo Iossa, giornalista, scrittore, ma in questo caso prima di tutto nipote di Franco e Filina.

Michelangelo, ci racconti prima di tutto chi erano i suoi due nonni:

“Franco Farina era nato a Milano nel giugno del 1907. Ultimo di sette figli viventi (tre morirono piccolissimi per malattie all’epoca inguaribili), apparteneva ad una famiglia della buona borghesia milanese. Franco aveva studiato Ingegneria al Politecnico di Torino e, da ufficiale dell’Esercito, si era formato all’Accademia Militare del capoluogo piemontese. A quei tempi, parliamo di poco meno di un secolo fa, l’Accademia non era stata ancora trasferita a Modena. Nonno Franco era animato da profondo amore di patria, alimentato dal fatto che aveva perso il fratello Renato, travolto da una valanga, nella Prima Guerra Mondiale. L’impegno nelle fila del Genio Militare e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale assorbirono la sua vita di giovane ufficiale”.

Franco Farina con alcuni lavoratori sardi (foto concessa)
Franco Farina con alcuni lavoratori sardi (foto concessa)
Franco Farina con alcuni lavoratori sardi (foto concessa)

E nonna Filina?

“Nonna era nata a Torre Annunziata (Napoli) nell’aprile del 1917. Quinta di nove figli, Filina veniva da una famiglia di imprenditori benestanti dell’area vesuviana industrializzata, gli Japicca. Torre Annunziata, tra l’Ottocento e il Novecento, era un polo di produzione della pasta di grano molto fiorente, ancor più fiorente dell’attuale Gragnano. Gli Japicca erano imprenditori moderni: furono, ad esempio, i primi a pubblicare annuari in doppia lingua (italiano e francese) e a introdurre il calendario aziendale bilingue come oggetto di marketing durante le fiere espositive e gli incontri commerciali. Nonna Filina non era da meno quanto a modernità: fu la prima donna a conseguire la patente di guida automobilistica a Torre Annunziata, una pioniera per la sua generazione”.

Un ufficiale di carriera del nord e una ragazza di buona famiglia del sud. Ma come avvenne l’incontro?

“Avvenne nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento, a bordo di un treno che da Napoli conduceva ai Comuni vesuviani. Franco conobbe Filomena, che stava tornando nella sua Torre Annunziata. Filomena era con una delle sue sorelle: erano sedute di fronte a Franco. Lui si era addormentato per via del lungo viaggio che aveva fatto precedentemente da Milano a Napoli. Negli anni Trenta non era infrequente che a bordo delle carrozze ferroviarie salissero contadini con formaggi, salumi e prodotti vari. Un passeggero aveva collocato una bottiglia di olio proprio sul vano destinato ai bagagli. Dall’alto, un po’ di olio cadde sulla giacca della divisa di Franco ma lui non se ne accorse perché dormiva. Mia nonna decise di svegliarlo per evitare che la divisa si sporcasse irrimediabilmente. Iniziarono a conversare e si innamorarono quasi all’istante, nonostante la differenza di età (10 anni) tra i due”.

Filina con il piccolo Michelangelo nel 1974 (foto concessa)
Filina con il piccolo Michelangelo nel 1974 (foto concessa)
Filina con il piccolo Michelangelo nel 1974 (foto concessa)

E qui sale sul palcoscenico la Sardegna, vero?

“Esatto. In quell’Italia tra le due guerre, Franco e Filina si fidanzarono, ma dopo poco esplose il conflitto mondiale e, nel 1941, Franco venne inviato a Cagliari e in diversi luoghi della Sardegna - al comando di allievi artieri, allievi marconisti e istruttori - per guidare le fasi di collocazione dei gruppi elettrogeni ‘Cinas’ e ‘Oreglia’, di ponti metallici, delle livelle da guerra ‘Abney’ e per il controllo delle fasi di brillamento di mine e di trasporto di imbarcazioni. Dalle foto dell’epoca è possibile scorgere la figura di mio nonno - che mostrava una somiglianza piuttosto evidente con Peppino ed Eduardo De Filippo, tanto che spesso lo fermavano in strada e lo salutavano pensando che fosse uno dei due fratelli-attori - circondato da militari, pastori sardi, allievi, asini e sullo sfondo del mare di Cagliari”.

Quanto rimase nonno Franco in terra sarda?

“Ingegnere e capitano dell’esercito italiano, Franco visse in Sardegna per alcuni anni, assistendo alle fasi più tristi del conflitto bellico, costellate anche da barbare esecuzioni di pastori sardi da parte dei nazisti. Per oltre un anno mia madre non ebbe più notizie di Franco: i tedeschi controllavano e impedivano i movimenti ai militari italiani e interruppero ogni possibilità di comunicazione con l’Italia continentale. Mia nonna credeva che il suo fidanzato fosse stato ucciso”.

Franco Farina in Sardegna, in un altro scatto del 1941 (foto concessa)
Franco Farina in Sardegna, in un altro scatto del 1941 (foto concessa)
Franco Farina in Sardegna, in un altro scatto del 1941 (foto concessa)

Quando seppe che non era così, che Franco era ancora vivo?

“Qui la storia dei due fidanzati si intreccia con l’inchiostro e le pagine de L’Unione Sarda. Mio nonno era a Cagliari e vide che un suo collega militare era stato imbarcato su una nave verso Napoli. Non potendo lasciare all’amico alcun messaggio ufficiale perché controllato dai tedeschi, riuscì a prendere una copia del quotidiano “L’Unione Sarda”, scrisse sulla prima pagina del giornale ‘Filina, ti amo. Sono vivo. Appena ritorno da te ci sposiamo. Tuo, Franco’ e l’indirizzo di casa della fidanzata. Arrivato a Napoli, il militare raggiunse Torre Annunziata e consegnò a Filina quella copia de L’Unione Sarda. Fu un’esplosione di gioia per tutta la famiglia Japicca! Mia nonna andò a piedi al Santuario della Madonna di Pompei e fece un voto: al rientro di Franco, si sarebbero sposati in quella chiesa e avrebbero dato il nome della Madonna alle figlie che sarebbero nate”.

E nonno Franco tornò alla fine…

“I miei nonni si sposarono in quel santuario il 14 aprile del 1945, pochi giorni prima della Liberazione. Un anno, un mese e un giorno più tardi - il 15 maggio 1946 - sarebbe nata Virginia, mia madre. Nel 1948 sarebbe nata Maria Stefania e, nel 1951, Bianca Maria. Mia madre e le mie zie portano il nome della Madonna, come promesso da mia nonna Filina dopo aver ricevuto quella copia dell’Unione Sarda”.

Ma che fine ha fatto quella pagina di giornale che in qualche modo è protagonista di questa storia?

“Nonno Franco, che raggiunse il grado di Generale di Corpo d’Armata, è scomparso nel settembre del 1978: per tutta la vita Filina ha conservato quella copia de L’Unione Sarda. Il giornale non è più tra i ricordi di famiglia perché, nel 1992, lei decise di portare con sé nella tomba quel messaggio e quella prima pagina del quotidiano sardo e quelle parole che non aveva dimenticato per tutta la vita: ‘Filina, ti amo. Sono vivo. Appena ritorno da te ci sposiamo. Tuo, Franco’”.

© Riproduzione riservata