Dopo la sua costruzione avvenuta nel 1961, il Muro di Berlino divenne rapidamente il simbolo più evidente della divisione esistente in Europa a causa della Guerra fredda e del regime di oppressione a cui erano sottoposti i tedeschi dell’Est. Il muro si trasformò così in un protagonista dell’immaginario dell’epoca, grazie a canzoni, romanzi, film e anche opere d’arte. A partire dalla metà degli anni Ottanta del Novecento questa barriera di cemento armato divenne, infatti, una gigantesca “tela” dove artisti di tutto il mondo e anche semplici cittadini cominciarono a esprimere il loro desiderio di libertà e il rifiuto per ogni tipo di oppressione.

Alla caduta del Muro nel 1989 larghi tratti della barriera vennero distrutti e solo alcuni dei murales furono fortunosamente salvati. Agli inizi degli anni Novanta le autorità di Berlino decisero però di preservare un tratto del Muro lungo più di un chilometro e di trasformarlo nella più vasta galleria d’arte a cielo aperto del mondo. Nacque così l’East Side Gallery, così chiamata perché i nuovi murales appositamente commissionati a decine di artisti di tutto il mondo andarono a coprire il lato orientale della barriera, quello che durante la Guerra fredda era praticamente irraggiungibile se non a rischio della vita. Tra gli artisti della Gallery vi è anche un italiano, anzi un sardo nativo di Furtei, Fulvio Pinna, che ha intitolato il suo murales, lungo più di 50 metri, Inno alla gioia. Una gioia che per l’artista era legata al crollo del Muro e alla ritrovata libertà per chi viveva oltrecortina. A Fulvio Pinna è naturale chiedere come è arrivato a dipingere sul Muro di Berlino:

“Ci sono arrivato dopo un lungo cammino. Il Muro è sempre stato una cosa che mi ha impressionato, così come mi colpiva la divisione che esisteva in Europa durante la Guerra fredda. Ricordo che quando ci fu l’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe sovietiche, nel 1956, avevo circa 8 anni e chiesi a mio padre cosa stava succedendo. Mi rispose: ‘Immagina che qualcuno entri in casa nostra, con in mano una pistola e dica che la casa gli appartiene. Ecco quello che sta succedendo in Ungheria’. Insomma, quando ho cominciato a interessarmi all’arte e ho intrapreso la mia carriera d’artista il tema della libertà e dei muri che la limitavano tornava spesso nelle mie opere. Intanto cresceva dentro di me la voglia di vedere dal vivo questo famigerato Muro di Berlino”.

E quando si è realizzato il desiderio?

“Alla metà degli anni Ottanta vivevo nella campagna romana e venne a trovarmi un mio compagno di scuola che abitava a Berlino. Parlammo un poco e alla fine decidemmo di saltare in macchina e partire per la città tedesca. La prima volta che vidi il Muro, era il 1987, rimasi scioccato. Avvicinarsi alla barriera era pericoloso anche dalla parte occidentale, però molti artisti avevano cominciato a dipingere quelle pareti. Quando mi avvicinai al Muro mi ritrovai a pensare alle tante persone che avevano perso la vita cercando di superarlo.”

Come fu il contatto con una città particolare come Berlino?

“Scoprii una città internazionale, piena di giovani, molto vitale. Avevo alle spalle oramai vent’anni di carriera artistica e le mie opere attiravano l’attenzione in una Berlino ancora imbevuta di espressionismo. Volli fare un gesto fuori dai canoni per l’epoca e cercai in tutti i modi di organizzare una mostra a Berlino Est, cosa impensabile per l’epoca. Volevo in qualche modo ‘bucare’ il Muro, entrare in contatto con le persone dall’altra parte. A forza di provare nel gennaio 1990 festeggiai il mio compleanno con una mostra nella parte orientale della città. Fu la prima volta per un artista occidentale.”

A fine anni Ottanta si pensava che il Muro sarebbe caduto?

“Le racconto una vicenda relativa al 1989, l’anno in cui poi il Muro è caduto. Nell’estate di quell’anno realizzai una scultura in cui si vedeva il Muro aperto, rappresentato come una sorta di arco di trionfo. A fine ottobre del 1989 dovevo tenere una mostra a Berlino Ovest e volevo a tutti i costi esporre la scultura. I responsabili dell’evento dissero che poteva sembrare una provocazione. Questo per far capire quanto il Muro e tutto ciò che simboleggiava sembrassero immutabili anche poco prima che la Cortina di Ferro crollasse.”

Dove si trovava il 19 novembre 1989, quando il Muro finalmente fu abbattuto?

“Andai alla porta di Brandeburgo. Ricordo che c’era la sensazione che tutto potesse cambiare. In quei giorni un giornalista mi chiese cosa pensassi del Muro. Risposi che era grigio, come il sistema che rappresentava e come era grigia tutta Berlino Est. E il regime al potere mirava a mantenere ‘grigieʼ anche le menti. Dissi che bisognava dare colore al Muro e anche alla città.”

Così nacque l’idea di dipingere il Muro?

“Non proprio. Però la mia risposta al giornalista smosse qualcosa. Poche settimane dopo la caduta del Muro, nel gennaio-febbraio del 1990, venni contattato per realizzare un’opera sull’antica barriera che divideva Ovest ed Est. Sono stato il primo a dipingere sul Muro ed infatti il mio murales si trova in un posto ‘privilegiato’, vicino all’Oberbaumbrücke, in un punto di passaggio obbligato dove il mio Inno alla gioia lo vedi per forza. Tema dell’opera è naturalmente la libertà.”

Berlino oramai è la sua patria?

“È il luogo in cui vivo e lavoro, dove faccio l’artista, ma anche l’imprenditore perché non sono il prototipo del pittore romantico, sganciato dalla realtà. Mi piace provocare e nello stesso tempo guardo al futuro. Aiuto artisti che vogliono farsi conoscere, ho contatti con gallerie, ho una mia galleria. La mia patria però è l’Italia e ancora di più la Sardegna.”

Ci torna spesso?

“Torno spesso anche perché ho comprato casa a Furtei, dove sono nato. Vorrei creare un piccolo museo o magari una biblioteca nella mia cittadina natale. Credo sia importante perché nei piccoli centri spesso mancano poli culturali e io voglio contribuire a cambiare questa situazione almeno a Furtei. Per questo sto acquistando volumi d’arte e opere di altri artisti per dare vita a una nuova realtà culturale. E la cosa non poteva che essere fatta a Furtei perché per quanto si abbia viaggiato, per quanto ci si muova, ognuno ha un legame particolare con i luoghi dove ha tirato i primi calci a un pallone oppure dove ha fatto il primo bagno in mare o in un fiume. Guai se non ci fosse questo legame atavico con la propria terra!”.

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