Raffigurarla come una santa laica è ridicolo. "Era una donna fragile, molto debole, e per questo ho voluto scrivere di Diana fuori dal mito. Non è solo la principessa triste, buona, che accarezza i bambini e visita madre Teresa (molti scrittori cattolici stanno cercando di annettersela insistendo molto sul suo legame con la Santa di Calcutta): la verità è che quel rapporto era solo una foto per due celebrità mondiali".

A vent'anni dalla tragica morte della principessa Diana (Parigi, 31 agosto 1997), il giornalista e scrittore Antonio Caprarica, notissimo corrispondente Rai da Londra per tantissimi anni e autore di numerosi libri sulla monarchia inglese, con "L'ultima estate di Diana" (Sperling & Kupfer, 240 pp. 16,50 euro) non vuole sfregiare il ricordo della giovane donna amata e pianta da folle oceaniche, ma solamente capire la sua personalità.

"Anche dopo la morte", sostiene Caprarica, "la storia di Diana continua ad appassionare come essere umano e come figura pubblica, e altrettanto i suoi capricci e la sua generosità, verso gli ultimi e il suo aristocratico attaccamento al privilegio. E così pure la sua battaglia contro i Windsor e la sua fede monarchica, la violenza del suo scontro con Carlo e l'amore dichiaratogli pure il giorno del divorzio, l'ansia di emanciparsi e l'insostenibile leggerezza della sua mondanità".

È per questo che a vent'anni dalla morte, la principessa Diana rimane un'icona di grande fascino per tutti, e il tempo che passa aumenta la sua leggenda?

"Questo libro non è sul mistero della morte, ma sulla vita misteriosa di Diana: che donna, che essere umano era? Non lo sappiamo ancora. Abbiamo un personaggio mitologico, leggendario, e da questo punto di vista certamente la morte imprevista che l'ha strappata alla vita così giovane e bella, l'ha trasformata in una semidea. Ma chi era veramente Diana? Una manipolatrice come è stata dipinta molte volte, una bellissima donna abile nel manovrare la stampa e i fotografi nella sua vita privata e personale con i Windsor? O la donna empatica che era in grado di passare dall'abbraccio a un bambino bisognoso ad un malato di Aids, e di rischiare persino la vita attraversando i campi di guerra appena sminati?".

Sempre impegno vero o c'era anche un po' di esibizionismo?

"Era la donna delle cause filantropiche con una simpatia e una autenticità che andavano ben oltre gli scopi mediatici. Ed era la madre tenerissima di due bambini, l'amante appassionata di Dodi al-Fayed: c'era una tale molteplicità di caratteri in lei da farla diventare quasi un personaggio letterario. Nella letterarietà di Diana forse si nasconde il mistero di una donna affamata d'amore che lo cercava nell'unico posto in cui non avrebbe mai avuto nessuna occasione di trovarlo. Ma non era nemmeno una riformatrice frustrata, mancandole gli strumenti culturali e politici per questo ruolo. Era semplicemente una donna fragile e spesso disperata. E in questo stava la sua forza autenticamente rivoluzionaria".

Il suo carisma più grande fu la semplicità?

"La semplicità era uno degli elementi costitutivi di questo carisma fino alla capacità di empatia. Il suo fascino consisteva soprattutto nella sua bontà d'animo - oltre a quello della sua straordinaria bellezza, fisica ed estetica praticamente insuperabile -, che la rendeva unica. C'era in lei la raffinatezza di un'educazione che era il risultato di secoli e secoli di affinamento di classe; c'era la signorilità innata che l'aveva fatta diventare un'icona della moda, e c'era la donna schietta e semplice capace di commuoversi veramente per un bambino sfortunato, di giocare con i piccoli e condividere con loro la semplicità dell'infanzia e dell'adolescenza".

Quanto i Windsor con il loro ostracismo, sono responsabili del naufragio del suo matrimonio con il principe Carlo?

"Erano due mondi diversi, in collisione. La tragedia scaturisce dal conflitto tra le aspettative degli individui e la norma che di solito schiaccia le aspettative o le subordina all'interesse della collettività. Diana chiedeva solo amore e interesse individuale, pensava di trovarli nella famiglia il cui compito fondamentale invece è quello di servire lo Stato, di giocare una funzione costantemente diretta nella quale non c'era posto per l'emotività dei sentimenti e per la loro stratificazione. Quindi i Windsor non ce l'avevano con Diana e lei con loro, i quali s'aspettavano che avesse capito che quello di principessa di Galles non è un ruolo matrimoniale, ma istituzionale".

E lei, invece?

"Diana invece credeva d'essere entrata in una famiglia che come tutte le altre avesse la funzione primaria di offrire, dare e ricevere amore. Questa incomprensione tra due mondi totalmente distanti ha maturato una tragedia non perché i Windsor abbiano fatto uccidere Diana come più d'uno ha ipotizzato parlando di complotto, ma perché lei nella sua irrequietezza, nella sua ricerca spasmodica di una soluzione per la sua vita, è andata a ficcarsi in un vicolo che non la conduceva da nessuna parte se non sotto il tunnel dell'Alma per morire in un modo brutale".

Diana ha sempre affermato di amare il marito. Perché allora non sopportare il tradimento, rinunciare al divorzio e vivere, sia pure in guerra, tra le mura domestiche?

"Perché lei apparteneva a una generazione diversa. Da che mondo è mondo i principi hanno ricevuto un loro esclusivo diritto: quello di non essere fedeli. Carlo, però, è sempre stato fedele alla donna sbagliata che non aveva sposato - o che non gli avevano fatto sposare".

Francesco Mannoni

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