Enzo Biagi lo conosceva bene. Con lui ha realizzato i programmi Rai "Il Fatto", "Viaggio verso il 2000", "Cara Italia", "Giro del mondo" e gli speciali come "Omaggio a Sarajevo", solo per citarne uno. Loris Mazzetti , giornalista, scrittore, capostruttura Rai 1 e Rai 3, a dieci anni dalla scomparsa del giornalista emiliano ha curato il libro "Enzo Biagi Non perdiamoci di vista", uscito per le edizioni Aliberti. Un volume di 600 pagine che contiene 58 interviste di Biagi a politici, capi di Stato, celebrità del cinema e della televisione, premi Nobel, scrittori e scienziati. L'elenco è variegato. Da Pertini a Malcom X, passando per Gianni Agnelli, Cassius Clay, Fellini e Saviano. La chicca finale è l'intervista di Mazzetti a Biagi: «Non è un libro nostalgico e il titolo è provocatorio. Un po' come dire: rimaniamo in contatto - dice Mazzetti - Purtroppo Biagi a differenza di altri grandi giornalisti è stato dimenticato anche dalla Rai. Ricordiamoci che nessuno come lui ha rivoluzionato il linguaggio televisivo e politico oltre a essere stato l'antesignano delle trasmissioni d'inchiesta».

Come sono state selezionate le interviste?

«Ho seguito due filoni: ci sono quelle che erano nel cuore di Biagi, come ad esempio l'ultima al Cardinal Martini quando ha abbandonato l'Arcidiocesi di Milano e si è ritirato a Gerusalemme. L'altro filone comprende le interviste che hanno segnato un'epoca. Penso a quella di Gheddafi alla vigilia del bombardamento americano o a quella all'attentatore del papa Alì Acga».

Con l'Editto Bulgaro del 2002, Biagi e il comico Daniele Luttazzi sono stati estromessi dalla Rai perché considerati "scomodi". Quali conseguenze ha lasciato questo provvedimento?

«Ha segnato un'epoca. Da allora nulla è stato più come prima. La censura è diventata autocensura. I giornalisti, soprattutto giovani, hanno cominciato a chiedersi non se il pezzo fosse bello o meno, ma se dava fastidio a qualcuno. La politica e i partiti che sono stati sempre presenti in Rai ma che in passato avevano un equilibrio, sono diventati sempre più presenti. Senza fare distinzione tra destra e sinistra. Ciò è accaduto perché ci sono stati giornalisti e dirigenti molto disponibili nei confronti dei partiti».

Quale era la caratteristica del Biagi giornalista?

«La semplicità. Non è un aggettivo riduttivo, ma è sinonimo di chiarezza. Lui era il contrario di quello che è spesso il giornalista oggi. Un mestiere corroso dalla vanità, dal bullismo culturale, dalla disciplina dell'inchino a qualsiasi potere. La grande rovina della nostra società è stata questa».

Quale insegnamento lascia Biagi al mondo del giornalismo?

«Un insegnamento fondamentale: per fare questa professione non si devono raccontano bugie».

A chi consiglia di leggere il libro?

«Ai giovani perché possano farsi un'idea di un'epoca attraverso una testimonianza e non attraverso l'ufficialità della storia e della retorica. Poi consiglio che il libro venga adottato da tutte le scuole di giornalismo poiché contiene una lezione sulla professione ma senza la volontà di fare lezione».

Enzo Biagi aveva un legame particolare con la Sardegna. Ce lo racconta?

«Il suo bisnonno e il fratello del nonno per anni sono andati in Sardegna a fare il carbone. Il piccolo Biagi era affascinato dai racconti di quest'Isola che ai tempi, nell'immaginario collettivo era considerata lontanissima. Aveva mantenuto un ricordo molto vivo, era una delle regioni che amava di più».

Rosangela Erittu

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