Leonardo Di Caprio lo ha definito il più grande scenografo della sua epoca. Pier Paolo Pasolini, più laconico da buon friulano, si limitava a chiamarlo genio. Martin Scorsese ha semplicemente ammesso che la sua carriera non sarebbe stata la stessa senza l’apporto delle sue scenografie. Parliamo, naturalmente, di Dante Ferretti, uno dei più grandi talenti che l’Italia abbia regalato al cinema mondiale.

Undici volte nominato all’Oscar, vincitore di ben tre statuette Ferretti, ottant’anni compiuti lo scorso febbraio, ha deciso di raccontarsi e di raccontare la sua passione per la Settima arte in “Immaginare prima” (Jimenez Edizioni, 2022, pp. 272), libro nato dalla collaborazione con lo scrittore David Miliozzi. Una cosa però è da chiarire subito: non siamo di fronte alla solita biografia celebrativa perché Ferretti non ha certo bisogno di autocelebrarsi. La sua carriera parla abbondantemente di lui e per lui.

Il libro è piuttosto un racconto emozionante del lungo viaggio di un italiano che, partendo dalla provincia, ha saputo non solo conquistare il mondo, ma soprattutto realizzare un sogno grazie al talento unito a un’abnegazione per il lavoro da grande artigiano, prima ancora che da artista.

“Immaginare prima”, l’espressione che dà il titolo al volume, è il modo con cui Ferretti vuole farci capire cosa significa essere scenografi: vuol dire immaginare il mondo che lo spettatore vedrà sullo schermo. Ma l’immaginazione non basta perché quel mondo bisogna poi realizzarlo, farlo diventare una scena vera e propria e questo richiede il rispetto per la fatica che traspare da tutto il racconto di Ferretti.

Un racconto che comincia con la prima nascita, il 23 febbraio del 1943 a Macerata, e prosegue con una seconda “venuta al mondo”, nell’aprile del 1944.

Ma veramente il grande scenografo ha avuto due nascite come afferma il sottotitolo del libro oppure ha voluto impressionare i lettori con un “effetto speciale”?

«Nessun trucco – racconta Dante Ferretti – , nell’aprile del 1944 Macerata venne bombardata e la mia casa fu colpita da una bomba. Avevo poco più di un anno e rimasi sotto le macerie. Mi salvò una credenza che si rovesciò di traverso e protesse la culla dove mi trovavo dal crollo del soffitto. Mi ritrovarono sano e salvo dopo più di un giorno sotto le macerie».

Un miracolo da film…

«In un certo senso mi hanno salvato la scenografia e gli arredi di casa mia».

Il suo legame con il cinema quando è nato?

«Il cinema è sempre stata la mia grande passione. Fin da ragazzo appena potevo rubacchiavo qualche spicciolo dalle tasche di mio padre e andavo a vedermi un film. Anzi a volte ne vedevo due o tre durante il pomeriggio. Negli anni Cinquanta c’erano tante sale cinematografiche anche in una piccola città come Macerata e la scelta non mancava».

A casa non protestavano per questi pomeriggi cinematografici?

«Dicevo che andavo a studiare da qualche amico. I nodi venivano al pettine a fine anno quando mi trovavo perennemente rimandato in qualche materia. Il peggio lo davo…in ginnastica dove prendevo spesso due».

Invece di diventare regista o attore, l’amore per la scenografia: come se la spiega?

«Non me la spiego. Nel cinema mi colpiva sempre l’ambientazione, interna ed esterna per me non faceva differenza. Mi chiedevo chi creasse quelle scene e quelle atmosfere. Finalmente uno scultore amico di mio padre, un artista futurista, mi disse che a realizzare tutto quello era lo scenografo. Compresi che era quello che volevo fare nella vita».

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Da Macerata al cinema la strada era lunga anche nell’Italia piena di vita del boom economico. Come è avvenuto il salto verso la Settima arte?

«Ho detto a mio padre che volevo andare a Roma e frequentare l’accademia di Belle Arti. Mi ha guardato come per dire: ‘Fai fatica a scuola e vuoi fare l’Accademia?’ Comunque mi ha promesso che se fossi stato promosso alla maturità mi avrebbe lasciato andare a Roma. Altrimenti sarei dovuto rimanere a lavorare nella falegnameria di famiglia. Mi misi a studiare e presi il massimo dei voti praticamente in tutte le materie. Solo in ginnastica ottenni una sufficienza risicata! A quel punto mio padre si convinse a lasciarmi partire».

Roma, primi anni Sessanta, l’Accademia…

«Esatto. Ma assieme all’Accademia collaboravo anche con un architetto che faceva lo scenografo per il cinema. Era sempre molto impegnato e vedendo che me la cavavo bene con i disegni e i bozzetti mi propose di sostituirlo sul set, quando lui non poteva. Mi ritrovai a lavorare a due film che si giravano – pensa un po’ – ad Ancona, non lontano da casa. Mi feci notare e comincia a essere chiamato come assistente alla scenografia in pellicole sempre più importanti. Non avevo ancora vent’anni…».

Ben presto ha cominciato a lavorare con i maggiori registi dell’epoca. Ci fa qualche nome?

«Ho fatto nove film con Pier Paolo Pasolini e sei con Federico Fellini. E poi Elio Petri, Ettore Scola, Marco Ferreri, Liliana Cavani, Franco Zeffirelli».

Come è avvenuto l’incontro con Hollywood?

«Il primo film americano è stato “Le avventure del barone di Munchausen”, diretto nel 1988 da Terry Gilliam. È una pellicola che amo molto e che ha fatto sì che mi notasse Martin Scorsese, che mi volle per L’età dell’innocenza del 1993. Poi sono arrivati altri film e tre Oscar, vinti sempre assieme a mia moglie, Francesca Lo Schiavo, che cura gli arredamenti delle scenografie».

Lei e sua moglie siete un po’ la coppia da Oscar del cinema italiano…

«Siamo sposati da cinquant’anni e ci siamo conosciuti proprio in Sardegna».

Ci racconta?

«Ci siamo incontrati la prima volta a casa di Fabrizio De André a Portobello. Prima frequentavo altre zone della Sardegna e fu il regista Elio Petri che mi fece scoprire la Gallura. Ora io e Francesca abbiamo una bella casa a Portobello, una casa a cui siamo molto legati».

Arrivato a ottant’anni, ha scritto la propria autobiografia: è arrivato il momento di riposarsi?

«Assolutamente no. Come dico sempre non ho ottant’anni, ma solo cinquanta più Iva. Un’Iva, tra l’altro, ben più bassa di quella in vigore in Italia!».

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