Fu un tragico giorno di San Valentino quando nella neonata Grande miniera "Serbariu" cinque minatori abruzzesi appena giunti a Carbonia persero la vita nelle viscere della terra. Era il 14 febbraio del 1938. Da allora riposano nell'antico cimitero del paese di Serbariu: la loro tomba comune è curata con devozione.

Tanta devozione che ha finito per attirare l'ammirazione di Giampaolo Rosato, sindaco di Taranta Peligna, piccolo Comune dell'Abruzzo di cui erano originari 4 dei 5 minatori morti (Domenico Marinelli, i fratelli Nicola e Amadio Merlino, Nicola Santarelli, era invece di Lama dei Peligni Domenico Silvestri). 

Così, il primo cittadino di Taranta Peligna ha deciso di omaggiare con una lettera il Comune di Carbonia per coloro che considera ormai figli del Sulcis: «Caro sindaco - dice Rosato rivolgendosi al collega Pietro Morittu - grazie al lavoro di volontari e dei dipendenti della municipalità il vecchio cimitero di Carbonia è stato oggetto di cura, pulizia e manutenzione assieme alle tombe dove riposano da decenni i corpi dei Tarantolesi morti nel tragico incidente nelle miniere: è di conforto per la mia comunità che la lontananza negli anni e nello spazio non ostacola la volontà di dare dignità a quelle sepolture».

Rosato aggiunge: «Ancora più emozionante è percepire come questi uomini, morti lontani da casa e per garantire a casa la libertà e la dignità che il lavoro assicura, siano stati in qualche modo adottati dalle donne e dagli uomini nati nella terra dove loro riposano per sempre. Nel mondo sempre più superficiale e attento solo all'apparire è un qualcosa di non scontato».

Parole cui Morittu replica sostenendo a sua volta che «siamo pronti a riannodare i fili di questa storia dolorosa che unisce due popoli capaci di soffrire». Parla di «comunità sorelle nel dolore e nella fatica» anche l'assessore alla Cultura Giorgia Meli: «I cinque minatori abruzzesi sono anche nostri figli».

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