Poeta è colui o colei che “sente” ciò che gli altri esseri umani faticano a sentire. È colui che vede quello che per gli altri è avvolto ancora nella nebbia. Il poeta è colui o colei che ha il dono della parola rivelatrice, il dono di trovare quel suono che rintocca nel cuore e fa eco all’infinito nella mente. Franco Arminio è indubitabilmente un poeta, perché i suoi versi sono come il sasso che increspa la superficie dello stagno e smuove le acque. I suoi versi mettono in movimento: emozioni, riflessioni, animano il silenzio di domande e di scoperte. Portano a ricercare nuove certezze e mettere in discussione le nostre, inamovibili pietre miliari.

Nella sua ultima raccolta, “Canti della gratitudine” (Bompiani, 2024, pp. 192, anche e-book), Arminio ci invita a metterci in ascolto delle parole. A farne buon uso, a dosarle, assaporandone il significato ed esplorandone le conseguenze. In un mondo, il nostro, dove l’immediatezza dell’usa e getta digitale sta sostituendo sempre di più il dialogo, Arminio ci richiamo al buon senso e alla tradizione, un buon senso e una tradizione che hanno sempre visto nel verbo qualcosa di magico, sublime, trascendente. Qualcosa di sacro.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Non a caso, le parole che compongono i suoi versi si offrono a tutti come occasione per aprire il cuore alla meraviglia e alla fratellanza, cantano l’importanza di prestare attenzione al minuscolo per sentirci parte dell’immenso. Il fardello della famiglia in cui siamo nati, la fatica di amare e lasciarsi amare, l’angoscioso orizzonte della morte che sembra chiudersi davanti a ogni pensiero – tutto viene riscattato dal potere di una parola: gratitudine, una predisposizione d’animo e un sentimento che illumina i doni nascosti in ogni singolo giorno. Scrive Arminio: “Ringrazia,/vattene via quando serve,/non portare rancore,/ricorda il male/che hai trasformato in bene,/libera la tua tenerezza,/ma studia il nero del mondo,/non nascondere lo sconforto,/ringrazialo, intervistalo,/non dare retta/a tutto quello che ti dice,/raccogli la gioia del mondo,/sene trova sempre qualcuna/se ti guardi bene intorno”.

Arminio ci dimostra così come la parola poetica possa dispiegare la sua forza trasformativa: da esperienza intima si fa comunitaria e ci chiede di essere pronunciata come sfida all’indifferenza, come forma di resistenza, come il più benefico dei contagi.

© Riproduzione riservata