Un modo di dire oramai proverbiale afferma che “non esistono più le mezze stagioni”. In effetti negli ultimi anni abbiamo dovuto sempre di più fare i conti con fenomeni atmosferici estremi e bruschi cambiamenti di temperatura, segno che probabilmente la tanto annunciata crisi climatica è passata da essere un problema delle generazioni future a un’urgenza di quelle presenti. Eppure, troppo spesso continuiamo a considerare il mondo in cui viviamo non troppo lontano da quello di qualche decennio fa, quasi inalterato rispetto al passato. E questo nonostante i ghiacciai sulle Alpi siano oramai lo spettro di quelli del passato, le Maldive siano a rischio di essere sommerse e le acque assedino oramai anche Venezia. Il giornalista Fabio Deotto ha provato allora a riflettere sul perché vi siano ancora tanti angoli ciechi che intralciano la nostra percezione della realtà. Lo ha fatto nel suo ultimo lavoro, “L’altro mondo” (Bompiani, 2021, pp. 336, anche Ebook), coinvolgente diario di viaggio in cui l’autore è andato a cercare un nuovo sguardo sul nostro mondo nelle storie reali di persone già oggi costrette a misurarsi con un pianeta più caldo, esplorando allo stesso tempo le zavorre cognitive e culturali che rendono così difficile accettare il cambiamento in atto.

A Fabio Deotto allora chiediamo da cosa possiamo dedurre che ancora non riusciamo a renderci conto del cambiamento che oramai è la nostra attualità:

“Quest’estate abbiamo assistito ad alluvioni, ondate di calore e incendi fuori scala, ma non ci viene naturale ricondurre queste cose alla crisi climatica. Siamo abituati a considerare i fenomeni estremi come episodici e scollegati. Questo ci porta a rassicurarci sul fatto che la nostra ‘normalità’ sia ancora la stessa. Mentre in realtà sono i sintomi di un mondo che è già cambiato”.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Il sottotitolo del suo libro è "La vita in un pianeta che cambia”.  Ma cosa dovrebbe significare vivere in un pianeta che cambia, quali accortezze ci vogliono?

“Per molto tempo ci siamo comportati come se questo pianeta avesse risorse illimitate, come se i suoi equilibri fossero eterni, così siamo finiti in questa situazione. Ora, vivere in un pianeta che cambia significa innanzitutto ridurre al minimo le emissioni di CO2, decentralizzare la rete energetica sfruttando le opportunità del solare, smettere di edificare vicino alla costa e cambiare tanti altri paradigmi che diamo per scontati”.

Per esempio, un paradigma a cui dovremmo rinunciare?

“Innanzitutto, è utile prendere atto di come l’unico limite che oggi ci poniamo, nelle nostre scelte, sia di tipo monetario: quando decidiamo se comprare qualcosa o fare un viaggio, se prendere o meno l’auto per spostamenti brevi, lo facciamo pensando soltanto se possiamo permettercelo. Dovremmo abituarci a pensare anche al costo non monetario della nostra esistenza”.

Ma il cambiamento è poi così tutto negativo? Non è parte stessa della vita?

“Al contrario, sono convinto che molti dei cambi di passo che ci aspettano, e a cui oggi guardiamo con paura, si riveleranno positivi. L’essere umano è una specie formidabile, che ha però degli importanti limiti cognitivi. Tra le altre cose, tendiamo a credere che il mondo in cui viviamo non possa cambiare più di tanto, e siamo molto più inclini a immaginare sviluppi infausti che cambiamenti positivi. Per dire: pochi oggi rinuncerebbero a usare l’automobile in città, ma sono convinto che se davvero sgombrassimo i centri dalle auto vivremmo tutti meglio la dimensione urbana. E lo dice uno che l’automobile ce l’ha”.

Quale dei posti che ha visitato e dei cambiamenti in atto che ha veduto nel suo viaggio l’ha colpita maggiormente?

“Sicuramente la Louisiana, un territorio che sta letteralmente sprofondando nelle acque del Golfo del Messico. A un certo punto, seguendo il corso del Mississippi, la strada che stavo percorrendo finiva sott’acqua. Dall’altra parte c’era una città, ormai tagliata fuori dal resto della Louisiana”.

Lei conosce bene la Sardegna...c'è un luogo sardo che ci segnala maggiormente il cambiamento in atto?

“Quest’estate abbiamo assistito a incendi particolarmente violenti e difficili da controllare, penso in particolare alla zona di Olbia. Ed è vero che non si tratta di un problema nuovo, ma quasi mai il cambiamento climatico ‘crea’ nuovi problemi, il più delle volte aggrava quelli presenti. Con il cambiamento delle precipitazioni e l’aumento delle temperature gli incendi diventano sempre più difficili da gestire. Un altro dato preoccupante riguarda la produzione di miele, che in Sardegna quest’anno ha registrato un vero e proprio crollo, in particolare per quanto riguarda il miele d’agrumi”.

Alla fine del suo viaggio quale è stata la sensazione, il sentimento o l'emozione con cui ha dovuto avere maggiormente a che fare?

“Durante questo viaggio ho registrato un ventaglio molto ampio di reazioni tra le persone che ho incontrato: rabbia, indignazione, sconforto, tristezza, apatia, speranza. Forse quella che ricorreva di più era una sensazione di frustrata impotenza. Quello che mi ha stupito, però, è la mancanza di paura. Non parlo della paura razionale, perché di fatto erano tutti spaventati dalle prospettive all’orizzonte, ma mancava quella paura viscerale che di solito ti sprona all’azione. È questo, credo, il problema maggiore: la minaccia che abbiamo di fronte è troppo stratificata e distribuita per metterci davvero in allarme. Per questo è ancora più importante attivarsi subito”.

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