Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema: sono i luoghi delle due più famigerate stragi compiute in Italia dai nazisti durante il periodo maggiormente crudele della Seconda guerra mondiale. Sono luoghi simbolo di una stagione, quella tra il 1943 e il 1945, che vide l’esercito tedesco e le SS, spesso con l’appoggio dei fascisti, compiere molte azioni scellerate contro la popolazione italiana.

Per lungo tempo i colpevoli di quei terribili misfatti non sono stati perseguiti dalla giustizia italiana. Addirittura, nel gennaio del 1960, il procuratore generale presso il tribunale supremo militare, Enrico Santacroce, firmò 695 decreti con cui archiviava i fascicoli giudiziari relativi ai moltissimi episodi di violenza contro civili e militari italiani commessi da soldati tedeschi e dai loro alleati fascisti durante la Seconda guerra mondiale. Nel decreto di archiviazione Santacroce sostenne di non aver acquisito notizie utili per identificare i colpevoli e di non essere riuscito ad accertare le responsabilità dei singoli. Non era vero: le prove c’erano, ma si era deciso in maniera arbitraria, per ragioni politiche e di opportunismo, di non proseguire con le indagini e di non perseguire i colpevoli. L’archiviazione fu quindi illegittima.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

I fascicoli contenenti le notizie dei reati e i risultati delle indagini non furono però distrutti. Furono “sepolti” in un armadio girato con le ante rivolte contro un muro, in modo che fosse difficile recuperarli. Nel 1994, durante il processo contro il criminale di guerra tedesco Erich Priebke, quello che è stato in seguito chiamato “armadio delle vergogna” venne riaperto e i fascicoli delle stragi furono finalmente inviati alle procure militari di competenza. In particolare, la procura di La Spezia si ritrovò a indagare su alcune delle stragi più efferate: Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Civitella in Val di Chiana. Dopo altri anni di lungaggini burocratiche, nel 2002, i fascicoli arrivarono sul tavolo di un giovane procuratore militare appena insediato nella città ligure: Marco De Paolis.

Fu l’inizio di una lunga battaglia giudiziaria per portare alla sbarra i colpevoli delle stragi, una battaglia durata dal 2002 al 2018 e che De Paolis ha ricostruito nel volume "Caccia ai nazisti” (Rizzoli, euro 19, pp.372, anche e-book).

Il volume vuole essere allo stesso tempo testimonianza pubblica e racconto intimo di cosa significhi trovarsi di fronte a un dolore immenso, quello dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime, mentre si prova a ristabilire un equilibrio di giustizia negato per oltre mezzo secolo. De Paolis dovette, infatti, fare i conti con le resistenze di che continuava a pensare che fosse meglio dimenticare, lasciare le cose come stavano, non riaprendo vecchie ferite. Peccato che quelle ferite non si fossero mai del tutto richiuse per chi le aveva subite sulla propria pelle.

Il magistrato decise allora di agire partendo da un semplice e lampante assunto: la legge, quella italiana così come quella tedesca, non ammette la prescrizione in caso di strage. Quindi i colpevoli andavano perseguiti, nonostante il tempo trascorso. Tra il 2002 e il 2018 sono stati così istruiti più di cinquecento procedimenti per crimini di guerra che hanno causato quasi settemila vittime. De Paolis ha ottenuto il rinvio a giudizio di 79 nazisti e fatto celebrare 17 processi, che hanno portato a 57 condanne all’ergastolo. De Paolis sapeva che con molta probabilità nessuno sarebbe andato in carcere data l’età avanzata. I criminali sotto processo erano naturalmente molto anziani e alcuni sono anche morti durante i dibattimenti. Però, come racconta il libro, l’azione di questo coraggioso magistrato è stata tutt’altro che vana. Ha dato prima di tutto voce a chi per più di mezzo secolo aveva atteso giustizia. È emersa così la straordinaria umanità dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime, persone che non hanno perso il loro calore umano nonostante la violenza subita. Al contrario interrogatori e processi hanno mostrato il lato disumano dei carnefici, nessuno dei quali si è mostrato pentito dei delitti compiuti. Come giustamente scrive De Paolis dei libri gli imputati non erano vecchi criminali, ma solo criminali invecchiati, fossilizzati nella loro ideologia di morte. Uomini decrepiti, ma ancora intrisi di odio nei confronti degli italiani che continuavano a considerare vigliacchi e traditori.

Soprattutto il libro ci fa capire come ricercare la giustizia e la verità sia sempre e comunque necessario, anzi irrinunciabile. Un grande dolore per le vittime era stata l’ulteriore ingiustizia del mancato assolvimento da parte dello Stato del primario e doveroso compito di ricercare, processare e punire i responsabili di quelle brutali violenze. Con i processi si è dimostrato concretamente che per la legge italiana un criminale colpevole di strage rimane tale per sempre. E va processato. Questo prevede la Stato di diritto che è l’esatto contrario della tirannia e del sistema di prevaricazione idolatrato dai nazisti e dai loro accoliti.

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