Ultimamente nei mercati finanziari gli investimenti si fanno sul... burro. Non stiamo scherzando: complice il vade retro che sta colpendo l’olio di palma e altri grassi vegetali, il più classico dei grassi derivati dal latte sta diventando sempre più richiesto nell’industria alimentare e quindi sempre più costoso. Ergo, gli investitori ne fanno incetta come fosse petrolio e oro, anche perché il burro sta recuperando punti anche su altri fronti. Recenti ricerche mediche hanno mostrato che il burro, se consumato cum grano salis, può entrare a pieno diritto in una dieta sana. È nutriente, facile da digerire, ricco di vitamina A e D. Soprattutto è, come tutti i grassi, un insaporitore naturale che ci evita un uso eccessivo di tanti prodotti presenti nei cibi processati dell’industria alimentare. Parliamo di aromi, sale, grassi idrogenati e zuccheri che sono poi i veri responsabili di tante malattie cardiovascolari. Insomma, senza paura di finire alla gogna, si può dire, come ha fatto la prestigiosa rivista “Time” nel 2014 dedicando addirittura la copertina al re dei grassi animali, una copertina dal titolo inequivocabile: “Eat Butter”, mangiate burro!

Tempi duri per il burro- Anche perché il burro è una di quelle cose a cui è difficile rinunciare, sebbene le fortune di questo grasso siano sempre state alterne nel corso dei secoli. Amato e anche vituperato ha, infatti, una ben lunga storia da raccontare.

Anticamente, per esempio, il burro non ebbe molta fortuna: Greci e Romani furono i popoli dell’olio d’oliva e per di più usavano i bovini solo per il lavoro nei campi. Chi consumava il loro latte era, per i raffinati abitanti di Atene e Roma, il perfetto esempio del contadino barbaro. La sorpresa è scoprire che il burro non se la passava meglio oltre le Alpi. Oggi siamo abituati a considerare Tedeschi, Inglesi e Nordici in genere popoli del burro. In effetti il “butirro”, per dirla all’antica, era sicuramente più apprezzato a quelle latitudini che sulle rive del Mediterraneo. Però rimaneva alimento per il volgo, quando non c’erano altre soluzioni. Il grasso preferito sulle tavole nordiche era il lardo di maiale, immancabile condimento di ogni piatto che si rispettasse.

Il lardo fu il vero protagonista della cucina medievale da quando le invasioni barbariche lo portarono anche nelle regioni del sud, a far compagnia all’olio.

Aveva, però, un grave difetto. In quanto carne, non poteva essere usato, secondo le prescrizioni cristiane, nei giorni di magro e in Quaresima. In quei periodi si usava l’olio di oliva che però al di là delle Alpi era costosissimo e ben poco apprezzato.

Poiché l’olio era indispensabile in certi giorni, i mercanti italiani e spagnoli lo vendevano a caro prezzo ed esportavano a nord quello di peggiore qualità. Non a caso un proverbio inglese dice: “as brown as oil”, cioè scuro come l’olio. Altro che la limpidezza dell’extravergine di prima spremitura, tanto oggi decantata.

Anche Lutero ha detto la sua - Va bene farsi sfruttare, ma ben presto anche i nordici ne ebbero abbastanza. Il burro era cibo da contadini, ma nei giorni di magro cominciò ad essere usato anche sulle tavole dei nobili e degli aristocratici. Non a caso la maggior parte delle prime ricette a base di burro sono piatti di pesce, cioè da giorni di magro. La Chiesa allora si mise di mezzo e impose, per consentire l’uso del burro nei periodi di divieto, il pagamento di una somma in denaro come forma di espiazione. Una delle torri della cattedrale di Rouen, in Francia, venne costruita proprio grazie a questo commercio basato su una semplice equazione: somma di denaro, indulgenza concessa per il peccato di gola, burro sulla tavola. A indignarsi per questi mercanteggiamenti furono in molti, tanto che pure Lutero scrisse: “A Roma si fanno beffe del digiuno mentre ci obbligano a consumare olio d’oliva che non userebbero nemmeno per ingrassare la pelle delle loro scarpe e ci vendono il permesso di mangiare del grasso. Mangiare il burro sembra più grave che mentire, bestemmiare o commettere atti impuri”. Con una battuta si potrebbe dire che dal burro si arrivò poi alla Riforma protestante.

Burro per tutti - Comunque, precetti religiosi o no, il burro era divenuto una vera moda già a partire dal XV secolo. Alcuni storici dell’alimentazione parlano di un’invasione dei territori gastronomici mediterranei da parte della cucina settentrionale. A capo degli invasori c’era il burro.

Le élite dell’epoca presero ad apprezzare sempre di più il grasso del volgo. Al palato era ottimo, nonostante per secoli lo si fosse guardato con un po’ di puzza sotto il naso. E poi i nobili avevano scoperto che non era così facile da conservare e quindi era un cibo che si addiceva a persone abituate a sprecare e a non preservare nulla. Il burro era abbastanza effimero da poter distinguere chi lo aveva in ogni occasione da quelli che dovevano farne a meno.

Lentamente, però, le corti europee e le tavole dei nobili scoprirono le qualità del burro anche con le carni e coi dolci. La cucina napoletana del XVII secolo, per esempio, è un trionfo del burro. Le salse grasse del Seicento e del Settecento sono a base di burro e solo qualche volta di olio. Il lardo scomparve, invece, dalle mense nobili.

Nell’Ottocento e nel Novecento il burro si diffonde in tutti i ceti sociali. Certo non scalza l’olio in quelle regioni dove dominano le piante di olivo, ma lo affianca come grasso e condimento più usato. Poi… poi è nata la medicina dietetica e sappiamo come è andata a finire.
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