Le immagini del Campidoglio invaso dai manifestanti sono probabilmente l’istantanea migliore per descrive gli Stati Uniti di oggi, un Paese lacerato al suo interno e in cui una parte consistente della popolazione non ha più fiducia nelle istituzioni. Insomma, quattro anni di presidenza Trump sembrano aver approfondito quelle faglie che da tempo attraversano l’America e minano la sua integrità e forse anche la sua tenuta democratica. Con un gioco di parole, verrebbe da dire che “Stati Uniti” oggi più che il nome della nazione americana pare una definizione di ciò che l’America è stata e fatica oggi a essere: una comunità coesa, pur nelle sue tante differenze.

Alla crisi di identità dell’America del XXI secolo è dedicato America First (Armando Dadò Editore, 2020, pp. 244), un saggio capace di raccontarci l’anima più profonda della superpotenza a stelle e strisce. Autore del volume è il giornalista Andrea Vosti, per anni corrispondente da Washington della Radiotelevisione svizzera. A Vosti chiediamo come prima cosa quale America ci troviamo di fronte dopo quattro anni di trumpismo:

"Ci troviamo di fronte a una nazione profondamente divisa, più polarizzata e radicalizzata. Trump ha di fatto interrotto ogni tipo di comunicazione tra le due parti della nazione americana, che oramai non dialogano più. Oggi o sei con Trump o sei contro di lui. Chi lo sostiene lo considera una sorta di taumaturgo capace di curare tutti i mali dell’America, chi lo avversa invece lo considera una rovina".

La copertina del libro
La copertina del libro
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Questa polarizzazione sulla figura del presidente uscente che conseguenze ha?

"La radicalizzazione a cui abbiamo assistito in questi anni e di cui abbiamo avuto prova con gli eventi di queste ultime settimane rende più fragile la democrazia americana. Non è certo un bene avere un presidente uscente che delegittima il voto popolare, attacca le istituzioni e il sistema giudiziario e si scaglia contro quei governatori repubblicani che non sostengono le sue tesi complottiste. Insomma, in tutto questo vedo le premesse di una possibile guerra civile anche se naturalmente spero di essere smentito dagli americani".

Trump è riuscito, contrariamente a ogni aspettativa, nell’impresa di coagulare attorno a sè una parte consistente dell'America. Cosa si è sottovalutato del presidente uscente?

"In generale non si è capito quanto grande fosse il malessere dell’America e si è data troppa importanza a fattori come il giudizio, la ragionevolezza, la decenza, fattori secondo i quali l’elezione di Trump non poteva avvenire. Invece Trump ha vinto una volta e ha quasi vinto una seconda, raccogliendo comunque più voti che nel 2016. Questo sta a significare che la voglia di cambiamento, di rottura nei confronti dell'establishment che esisteva nel 2016 è cresciuta in questi anni e Trump ha saputo presentarsi come l'interprete del cambiamento".

In che modo ci è riuscito?

"È innegabile che il presidente uscente sia un grande comunicatore, diabolico nella sua capacità di rendere credibili realtà alternative e nel costruire un vero e proprio culto attorno alla sua persona. Ha dimostrato che si può governare una superpotenza a forza di tweet, slogan e frasi roboanti, senza neppure avere un programma preciso di governo. Trump, infatti, non ha una vera e propria ideologia, non è coerente e non ha una visione chiara delle cose né in politica interna, né in politica estera. Per esempio, due capisaldi della sua politica dovevano essere l'abolizione della riforma sanitaria introdotta da Obama e il contenimento dell'espansione economica e commerciale della Cina. L’Obama Care è rimasta al suo posto perché Trump non aveva idea di come sostituire la riforma del suo predecessore. Sul fronte della Cina gli Stati Uniti nel 2017 si sono ritirati dal Partenariato Trans-Pacifico, un accordo di libero scambio firmato nel 2016. La Cina allora si è mossa in autonomia, ha concluso accordi con i Paesi che facevano parte del Partenariato e ha aumentato la sua influenza".

Dall'Europa si ha spesso l'impressione che gli Stati Uniti siano sempre più lontani dal Vecchio continente e sempre meno comprensibili per noi europei. È veramente così?

"Credo che anche in questo caso si debba fare i conti con il fatto che esistono oramai due Americhe. La prima è quella che ci appare più vicina, quella di Obama, l'America progressista e anche ottimista che ci viene raccontata nel cinema e nelle serie televisive statunitensi. Con Trump è prevalsa un'America arrabbiata, chiusa in se stessa e che appare veramente un altro pianeta a noi europei".

Ma quale America ci dobbiamo immaginare per il prossimo futuro?

"Joe Biden si ritroverà a guidare un paese lacerato come non mai, con due Americhe che non si parlano e non si comprendono, per usare un eufemismo. Un paese in piena emergenza sanitaria e sociale, con un’economia che zoppica, e percorso da mai sopite tensioni razziali. Le sfide per la futura amministrazione democratica sono davvero enormi. Biden dovrà cercare di ricucire il tessuto sociale del paese e dovrà farlo tenendo conto da una parte delle istanze protezioniste dell’elettorato repubblicano, dall'altra delle rivendicazioni dell'ala più radicale del partito democratico. Inoltre, dovrà ridare credibilità alle istituzioni democratiche delegittimate da quattro anni di trumpismo. Infine, Biden e Kamala Harris dovranno sanare le relazioni con gli alleati storici di Washington e ripristinare l’immagine dell’America nel mondo. Una missione quasi impossibile, anche perché sul futuro degli USA grava un'incognita: cosa farà Donald Trump una volta lasciata la Casa Bianca".

Ma Trump ha ancora un futuro politico?

"Molto dipenderà da quale sarà l'esito della procedura di impeachment al Senato e dalle future mosse del partito repubblicano, un partito che per calcolo politico e opportunismo negli ultimi quattro anni si è lasciato prendere in ostaggio da Donald Trump e che rischia di pagare le conseguenze della deriva autoritaria e anti-democratica del presidente uscente. Ora qualche voce dissidente si sta levando, anche se tardivamente, ma bisognerà vedere se dopo l'inaudito assalto al Congresso di inizio gennaio, e la clamorosa doppia sconfitta nel ballottaggio in Georgia, i pezzi grossi del partito taglieranno il cordone ombelicale che li lega a Trump. Politicamente, la perdita della maggioranza al Senato è stata un colpo durissimo: la prova che Trump è tutto fuorché un talismano che fa vincere sempre. In gioco c’è il futuro della democrazia americana. In ogni caso, anche nell’eventualità improbabile che Trump uscisse di scena per occuparsi dei suoi problemi personali e giudiziari, il trumpismo come fenomeno politico e sociale continuerà a inquinare il confronto politico".
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