"Cara Unione,

dal 9 marzo le nostre strade si sono vestite di un silenzio assordante e le nostre vite si sono svestite della loro normalità andando incontro ad una solitudine alienante.

Tuttavia, con l'avvio di questa nuova fase, c'è un altro silenzio che preoccupa e che riguarda chi in questo momento è ricoverato in ospedale, ospedali che oggi assomigliano a carceri.

Le vite di queste persone e dei loro parenti, nonostante il resto del mondo andasse in pausa, sono andate avanti nella totale solitudine e nella speranza che qualcuno rivolgesse un pensiero anche a loro.

L'attività degli ospedali, aldilà dell'emergenza Coronavirus, è andata avanti per coloro che necessitano di cure urgenti ma affrontano la loro battaglia in completa solitudine. Scrivo da figlia di un paziente che in questo momento insieme alle cure prestate dal personale sanitario avrebbe bisogno anche del mio amore. Perché sì, chi soffre e affronta una malattia con la preoccupazione del futuro che verrà, necessita anche e soprattutto dell'amore di figlie/i, mogli e mariti, sorelle e fratelli.

È nell'interesse nostro in primis tutelare i nostri cari, ma permetterci di stargli accanto è un diritto e una responsabilità per chi dirige ospedali e reparti.

Nonostante l'ordinanza n° 6524 del 16/03/2020 della Direzione generale della Sanità della Regione Sardegna permettesse ai parenti, in caso di motivi particolari, di poter stare accanto ai propri cari, previa autorizzazione, in molti ospedali dell'isola questa possibilità è stata negata.

Questa lettera è per porre all'attenzione il nostro grido sino ad oggi inascoltato, con l'augurio che con questa nuova fase qualcosa, anche in questo senso, possa cambiare.

Grazie dell'attenzione".

M.C.M. - Cagliari

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