“Cara Unione,

sono un cittadino sardo di 50 anni, di professione cuoco da oltre 35 anni, avendo iniziato la mia professione in tenera età fin dai tempi della frequenza della scuola alberghiera.

Negli anni ‘80 c’è stato un vero boom di iscrizioni all'istituto professionale alberghiero da parte di studenti che venivano attratti in primis dalla passione soprattutto per i corsi di cucina e sala e, in secondo luogo, per la facilità di inserimento nel mondo del lavoro in un campo, quello del turismo, che dava illusioni di guadagni sicuri e prospettive a lungo termine, visto l'accrescimento della disoccupazione. 

Di tanti ragazzi usciti con diploma e specializzazioni, per una legge di selezione naturale andavano avanti si e no un 10/15%, molti hanno cercato un lavoro più tranquillo e meno stressante, altri hanno avuto la fortuna di trovare impiego in posti fissi in altri campi lavorativi.

La ricerca, anzi il bisogno di conversione della professione di cuoco, derivava dalla possibilità di trovare lavoro dove si era radicati o almeno nelle zone limitrofe, ma soprattutto dalla contrazione temporale della stagione turistica. Mi spiego meglio: fare al massimo cinque mesi di lavoro durante l'estate comportava, comporta tutt’ora, il doversi spostare in inverno all'estero o nord Italia nelle stazioni sciistiche, per sopperire economicamente ai mesi invernali, in quanto la nostra regione non offre sbocchi alternativi.

Intraprendendo la professione in maniera maniacale e con passione,ho lavorato in lungo e largo sia in Sardegna che all'estero, in strutture ricettive al top, come si direbbe oggi in posti stellati, ma devo ammettere che appena si passano le Alpi, in Svizzera per esempio, le condizioni di lavoro sono decisamente umane, riconducibili al salario, diritti e penuria lavorativa (come dovrebbe essere infatti un lavoro).

Vengo al dunque: in un vostro articolo dell'8 aprile scorso leggo come un imprenditore turistico si lamenti del fatto che non si trovino più cuochi, causa derivante da politiche sociali come il reditto di cittadinanza. Voglio rispondere a quell'imprenditore che niente è più falso di ciò! Ottimi contratti? Perché non si parla che la categoria di cuochi (e anche camerieri, facchini e cameriere ai piani ) è la più ignorata sia dalle dalle forze politiche che sindacali? Per pochi mesi di stagione, professionisti seri e competenti vengono speso reclutati da albergatori e ristoratori imponendo loro contratti forfettari, iniqui a condizioni unilaterali, dove vengono meno tutti i diritti dello statuto dei lavoratori. Dove tirando le somme, a livello personale, si guadagna circa 5/6 euro all'ora, considerando 12 ore di lavoro perché di questo si tratta.

Perché non si parla, poi, di come vengono ‘accomodati’ i lavoratori negli alloggi? Camere da tre o quattro persone, spesso nei sotterranei, magari senza finestre?

Perché non si parla di come, oltre a svolgere turni massacranti, spesso e volentieri non si fa riposo anche per qualche mese?

Perché non si parla di come ormai il personale sia ridotto veramente al minimo, con i veri professionisti che devono spesso trovarsi fianco a fianco con persone incompetenti, che hanno come colpa di essere laureati in cerca di prima occupazione o padri di famiglia che hanno perso il lavoro in fabbrica.

Io, dopo tanti anni, sto cercando di cambiare la mia professione proprio per questi motivi, e posso dire che sono anche in possesso di una buona esperienza, anche se con questo non si riesce a trovare un lavoro in grazia di Dio.

Credo sia certamente giusto parlare di come migliorare il servizio turistico, che è l'unico volano dell'economia dell'Isola, ma non colpevolizziamo uno strumento come il reddito di cittadinanza, giusto o sbagliato che sia, per aver portato alla carenza di personale qualificato.

Grazie dell’attenzione”

A.M.

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