"Cara Unione,

giorni fa sono stata in carcere a Uta.

Come fare per ottenere una visita? Ore e ore attaccata al telefono, difficilissimo riuscire a prendere la linea, una e con un solo operatore. Bisogna prendere un appuntamento, per evitare assembramenti inutili e pericolosi.

Quindi, il giorno dell'agognata visita, si attende sotto una tenda nel parcheggio.

Pochi giochi di plastica, sporchi, sono ammassati in un angolo, ovviamente inutilizzabili dai bambini presenti, che corrono in tondo, senza alternative. Si entra, superando i vari controlli, certificando, firmando, seguiti dalle guardie carcerarie, molto disponibili. Anche attraversando grate, immagini forti cui i bambini - ne ho visti di piccolissimi - vengono esposti senza alcuna attenzione e protezione.

Dopo un'ora, si viene condotti nella stanza dei colloqui, su sei postazioni, quattro sono occupate. Quattro nuclei familiari che parlano insieme, con un'acustica che non permette di sentirsi. Rumore. L'effetto è devastante, forse ci si abitua, ma l'impatto è fortissimo, disumanizzante.

Come è possibile che sia stato pensato un luogo preposto alla rieducazione con caratteristiche degne di un carcere ottocentesco? Come è possibile permettere l'ingresso di bambini in un ambiente così squallido, senza tutelare la possibilità di favorire la loro relazione con il genitore? Come si può pensare che ci si possa redimere se il trattamento, cioè anche la relazione col nucleo familiare di appartenenza, è così degradante? Queste e altre domande mi ha suscitato questa triste esperienza.

Mi chiedo, cui prodest?

Grazie dell'attenzione".

Lettera firmata*

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