"Cara Unione,

un lavoro a tempo indeterminato, il sogno che si avvera a ridosso del mio 36esimo compleanno. Firmo la lettera di assunzione, con il vincolo di un mese di prova da superare come da prassi. I primi giorni scivolano via lisci tra i complimenti della titolare della sartoria di Cagliari dove avevo cominciato a prestare servizio. Il mio lavoro lo so fare, ho studiato per quello e ho anche fatto alcune sfilate. Se non che un giorno all’improvviso, una chiacchierata: ‘Si, mi sono sposata, il mese scorso". Da qui l'interrogatorio: "Ma come, ti sei sposata un mese fa? Ma non è che vuoi un figlio? Ma la prendi la pillola? Ma non è che tuo marito ti pressa per avere un figlio?".

Cado dalle nuvole, mi sento attaccata. Anziché andare via, come avrei dovuto fare, resto e dico: "Sì, può essere che in futuro vorrò un figlio, ce l'abbiamo in programma, poi chissà". Bastano queste poche parole: "E come farò se resterai incinta, così non va bene". Ma la gravidanza non è una malattia. Invece dopo questo processo alle intenzioni il giorno dopo mi arriva la lettera di licenziamento con la motivazione che no, dopo appena una settimana, dopo tanti complimenti, quella prova non l'ho superata.

Io non posso lavorare, una donna non può lavorare perché se vuole lavorare non può avere un figlio. Questa è la realtà del nostro Paese, mi è stato fatto un processo alle intenzioni perché io non sono incinta, perché io non so come andranno le cose, perché io stavo facendo solo il mio lavoro.

Ritengo che quello che è accaduto sia molto grave, perché non solo io ma tutte le donne devono scegliere se avere un figlio o lavorare. Che amarezza quando scopri che le peggiori nemiche delle donne, nel mondo del lavoro, sono le donne. Eppure, lo stato non fa che incentivare le coppie ad avere bambini, concede bonus e agevolazioni, ma dovrebbe vedere la realtà. Se vuoi un figlio non lavori.

Si parla tanto di datori di lavoro che non trovano dipendenti, di giovani con scarsa voglia di lavorare, ma la realtà è molto diversa e bisognerebbe appunto indagare perché i ragazzi non vogliano lavorare se poi succedono queste cose.

Grazie per l'attenzione". 

Lettera firmata (*) – Cagliari

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