U na mia cara amica mi telefona da Milano. Mi dice di essere partita da Cagliari, nonostante un fastidioso raffreddore, per assistere a una conferenza di Daniel Goleman. È la stessa mia amica che qualche giorno prima mi aveva benevolmente rimproverato di scrivere troppo spesso di avvenimenti drammatici se non addirittura tragici. Lei aveva ragione; ma io non avevo torto. Dicevano i nostri padri latini che quando «majora premunt», ossia le cose più grandi incombono, non ci si deve soffermare sulle minori. Vorremmo scrivere sempre traendo spunto dai fatti e fatterelli della quotidianità. Sono essi l’indice della vita normale, ora serena ora travagliata, di quella parte maggioritaria della popolazione che, gioendo soffrendo operando nell’anonimato, è l’asse portante della società. La chiamiamo genericamente “gente”, e offre innumerevoli spunti di riflessione. E uno spunto me lo offre la mia amica, che gioisce del suo incontro ravvicinato con Goleman. Chi non ha ancora letto “Intelligenza emotiva”, il suo libro più famoso, lo faccia: è un raggio di luce che illumina le menti in penombra. Essere emotivamente intelligenti può renderci felici; e noi rendere felici gli altri. Può riconciliarci con la vita quando la speranza vacilla. Ne riparleremo. Regaliamone intanto una copia a Putin, Trump, Zelensky e Netanyahu. Hai visto mai che imparino qualcosa?

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