L’oro alla Patria
Caffè Scorretto
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L a storia si ripete: cambiano solo i tempi, i contesti e le persone. Il 18 dicembre 1935 l’Italia celebra la “Giornata della fede” durante la quale il vescovo di Terracina consegna al Duce l’anello pastorale che dà il via all’offerta dell’oro alla Patria. “Tutta la nazione è pronta a qualunque sacrificio” e così milioni di italiani lo seguirono sulla cattiva strada offrendo alla sciagurata causa persino le fedi nuziali. Novant’anni dopo il riecheggio dell’oro pro Patria non riporta di certo alla consegna di fedi e anelli ma semplicemente al trasferimento dei lingotti dal fortino di Bankitalia, istituzione pubblica indipendente, a quello del Tesoro che li reclama in quanto “dello Stato e perciò degli italiani”. Vero, l’oro appartiene allo Stato ma il governo non può metterci mano perché i 24.520 quintali sono (in parte) custoditi, gestiti e iscritti nel bilancio della Banca d’Italia per un valore di circa 200 miliardi. C’è di più. Con l’entrata nell’euro l’Italia ha ceduto la sua sovranità monetaria all’Europa, ragion per cui l’oro italiano serve a garantire non solo l’Italia ma in parte il sistema euro. I parlamentari di Fdi insistono per trasferire la riserva aurea attraverso un emendamento alla Finanziaria. Per farne cosa è ancora da scoprire. Comunque tranquilli: se quella del 1935 è stata una tragedia, questa del 2025 sarà una farsa.
