A forza di fingere
Caffè Scorretto
Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
L a Sardegna per la politica nazionale sembra essere un particolare a margine, fastidioso. Ricorda i tempi di Roma ladrona e Padania padrona dalle Alpi fino a Pesaro, al di qua del muro il popolo dei piagnoni. Il bergamasco Roberto Calderoli, ministro per gli affari regionali e le autonomie, assicurava “ci arriveremo”. Tranquilli, di anni ne sono passati trenta e l’Italia è ancora unita nel suo disordine. Nel suo libro “Mutate Mutanda” (ispirato al latino mutatis mutandis) confessava di avere “una memoria pachidermica” e quindi si può pensare che il ministro, secessionista convinto, trovi l’inghippo per proporre al Governo di trasferire le carte sarde alla Consulta. Finora sono otto le leggi impugnate; l’ultima, approvata all’unanimità, è relativa al “Comparto unico di contrattazione collettiva della Regione e degli enti locali”. Per il Governo cozza con la Costituzione, per la Todde è l’ennesimo attacco all’autonomia. Al di là delle ragioni circa la fattibilità e l’impegno finanziario che comporterebbe il “comparto” si ha la sensazione che Roma, in tutt’altre faccende affaccendata, trovi tempo e voglia solo d’estate: a Porto Cervo. Finge e a forza di fingere immagina che i sardi pensino che la Sardegna nel cuor le stia. Immagina male: in autunno le mani romane hanno ripreso a battere dove il cuore non c’è, come i calciatori a ogni cambio di maglia.
