C i sono due luoghi comuni della politica che fino a poco tempo fa, e almeno dal trionfo di Blair in poi, ci hanno fatto una petulante compagnia. Il primo è che destra e sinistra sono categorie superate, il secondo è che le elezioni si vincono al centro. Del primo ci si poteva sbarazzare facilmente, bastava accorgersi che di solito (non sempre, ma quasi) chi lo diceva era di destra. E comunque il primo decreto di Giorgia Meloni, che butta via la chiave del 41 bis appena prima che la Consulta la trovi e la faccia girare nella toppa, dimostra che le differenze destra-sinistra esistono. A demolire il secondo c’è il mostruoso recupero di Bolsonaro, che ha lambito la vittoria dopo aver rappresentato per anni una caricatura trumpiana in salsa carioca così grottesca che nessuno, finché non si è arrivati al voto, poteva pensare che avesse seriamente qualche chance. E sì che Lula lo aveva davvero cercato al centro il proprio carburante elettorale, a cominciare dalla scelta di un vice moderato e religioso. Per cui i casi sono due: o le elezioni ormai si vincono a destra, oppure le vince comunque la parte che ha le idee più chiare su sé stessa e meno complessi, e quindi è più capace di mobilitare chi ancora è disposto a farsi interpellare da un intreccio di valori, riferimenti, interessi e riflessi più o meno condizionati. Chissà perché, nel complesso non sembra una buona notizia.

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