A l pubblico italiano piacciono molto le storie di servizi segreti, ma quelli degli altri. Da sempre ci diciamo golosi quanto è potente la Cia, quanto è efficiente il Mossad, quanto era brutale il Kgb. E che delizia gli inglesi con James Bond (poi Cossiga, che se ne intendeva, ogni tanto provava a farci andare oltre il mainstream e avvisava: i più spietati sono i francesi, non c’è storia).

Ma gli 007 de noantri non ci hanno mai eccitato granché. Sarà per la saga anni ’80 dei fondi Sisde che già i nomi dei personaggi, da Finocchi a Broccoletti, privavano di qualunque glamour. Sarà che quando sentiamo parlare di servizi è sempre per cortesie alla camorra, rapporti con la Magliana e robe suburresche di questa sorta se non più atroci. Comunque, a parte eccezioni come il povero Calipari, mai nulla di eroico. Per questo, soprattutto per via di questa immagine opaca, la grande storia del ministro della Difesa che si lamenta in Procura perché i servizi segreti con lui son troppo segreti e non gli dicono le cose probabilmente non avrà gran seguito, di pubblico né di conseguenze. Se va benino sarà archiviata come una storia di dispetti e delusioni di carriera. Se va malino porterà all’ennesima riforma con cambi di acronimi e un paio di avvicendamenti ai vertici. E invece è di gran lunga la cosa più grossa dell’ultimo anno. Altro che Genny Sangiuliano. Peccato.

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