T igre contro tigre. Non è più solo uno scioglilingua, è una metafora inedita e rigenerante della politica italiana. Giorgia e Elly. L’una, addomesticata dalla posizione preminente di capo del governo; l’altra, inasprita dalla posizione sottostante di capo dell’opposizione. L’una siede sulla poltrona più alta, che le impone pacatezza istituzionale, finché ce la fa; l’altra sullo scranno dove si affinano gli artigli del dissenso. Una è nata in una famiglia piccolo borghese della Garbatella, a Roma; l’altra a Lugano, da genitori altolocati. Giorgia lancia il guanto di sfida: «Mi aspetto un’opposizione durissima. Noi siamo qui». Eddy lo raccoglie e minaccia: «Stiamo arrivando. Chi aveva scommesso contro il Pd ha perso. Sarà per noi una nuova primavera». Lessico stagionale a parte, all’orizzonte c’è un’avvisaglia di disfida. Sarà certamente più eccitante delle guerriglie anodine combattute negli ultimi vent’anni da politici-anestesisti di ogni colore. Entrambe esordienti al “question time”, si sono affrontate con abiti di colori uguali e contrari: nero su bianco l’una, bianco su nero l’altra. Talvolta il caso è malandrino. Le duellanti non sono ancora del tutto in sintonia con i loro ruoli: Eddy, seppure involontariamente, ricorda il mondo snob da cui proviene; Giorgia appare ancora un poco sGarbatella.

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