C astigat ridendo mores è una massima latina per dire che è meglio correggere i costumi ridendo piuttosto che con requisitorie e invettive. Oggi però è fuori moda. Non ci piace più la risata intelligente. Con il politicamente corretto siamo diventati seri, seriosi, un po’ tristi. Aristofane, in questo clima, sarebbe stato bandito dai teatri; Gaio Lucilio non avrebbe mai osato fare l’elogio della satira. Che fin dall’antichità ha sempre oscillato tra il sacro e il profano. Gli argomenti dichiarati tabù da chi impone regole ferree di comportamento sono infatti proprio quelli che la satira predilige: il corpo, la religione, il sesso, l’etnia, i costumi, la politica. Guai oggi a farne oggetto di umorismo. Ogni critica sferzante è inammissibile, ogni visione diversa da quella del pensiero imposto è reato. È accettata invece l’ipocrisia, che va premiata. L’intolleranza è diventata virtù. Persino la politica, antico cavallo di battaglia della comicità, si ribella e adisce le vie giudiziarie. Forse è ancora ammesso ridere di sé stessi. Un mio amico, per poter esprimere le sue opinioni senza essere vilipeso e castigato, si è dichiarato nero, musulmano, di sesso incerto, migrante: e con umorismo all’inglese ha fatto una comica autocritica. Una specie di autoerotismo. Non so, però, se la farà franca.

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