I l 31 dicembre scorso un amico di Vicenza mi telefona per farmi gli auguri di buon anno. Conoscendo la mia avversione al linguaggio cosiddetto inclusivo, mi ha annunciato di avermi inviato come dono natalizio l’opuscolo prodotto dalle menti woke dell’Ufficio pari opportunità del suo Comune. Ieri il plico mi è stato recapitato dalle poco solerti Poste. Finalmente sono uscito dall’ansia di sapere come devo parlare e scrivere senza offendere la sensibilità del mio prossimo. «Questo documento –si legge nella presentazione del libello- è una raccolta di possibili strategie linguistiche che ogni persona può consultare di volta in volta in base ai propri bisogni». Le «strategie linguistiche» mi hanno allarmato. Ora so, dopo averlo compulsato, di avere usato da sempre parole grevi, da cancellare dal vocabolario. Una per tutte: migrante, da sostituire con “persona straniera”; la quale, se sprovvista di documenti, non è clandestina ma “persona irregolare”. I cui figli vanno qualificati come “persone con background migratorio”. È un linguaggio che abbonda di perifrasi fastidiose fino al limite della molestia intellettiva. Ovviamente non mancano i capitoletti intitolati «Come parlare al femminile», «Come trovare una soluzione neutra», «Come si parla di disabilità» e via capitolando. Manca però il più importante, che mi piace suggerire: «Come parlare in italiano».

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