G li errori assomigliano a chi li commette.

Per esempio Speranza ne inanella due o tre palliducci e complicati quando decide che “Parigi dimostra che uniti si vince”. Intanto la politica italiana notoriamente assomiglia solo a se stessa e quindi la vittoria di Macron dimostra solo che ha vinto Macron. Poi, a parte che l’ennesimo appello all’unità da un microscissionista di sinistra non mette più neanche il buonumore, di unito nell’elettorato di Macron non c’è nulla: se va di lusso le idee del presidente sono condivise da uno dei suoi elettori su cinque, a compattare gli altri sono un buon sistema elettorale che dovremmo copiare (a patto che Renzi non se lo intesti battezzandolo Toureiffellum), il disgusto per Le Pen e forse soprattutto la paura dell’effetto sui mutui della destra radicale all’Eliseo. Infine se l’elettorato di Macron è pulviscolare, i leader del presunto fronte progressista sono ancora più divisi. Melenchon, per dire, è riuscito a dire no a Le Pen senza neanche suggerire di votare Macron. Come Conte da Lilli Gruber, però riuscendo ad apparire una sfinge e non un peracottaro.

Per esempio bis: anche gli errori di Salvini, porelli, gli assomigliano. Perciò eccolo commosso che twitta a Le Pen: “Hai preso i voti di 13 milioni di francesi, una percentuale mai vista”. E in effetti il risultato è importante ma 13 milioni è un numero, non una percentuale.

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