N iente sarà più come prima si diceva maledicendo il Covid. E così è stato: tutto è cambiato e tutto è terribilmente scombinato. Basta considerare lo stato comatoso in cui versa la sanità pubblica e la rabbia degli operatori sanitari, eroi dimenticati: di cuore ieri, di fegato oggi. Un medico-sindacalista o forse un sindacalista-medico, stando alle cronache di questi giorni, ha dichiarato: “la nostra non è una vocazione ma una professione”, alludendo probabilmente allo stipendio ma anche nel trovarsi a fare da parafulmine sul quale i politici scaricano le proprie responsabilità. Siamo alla barzelletta: entra tu medico a prenderti le randellate che a me vien da ridere. Quel medico sarà stato duro e crudo ma ha detto una verità: la vocazione forse è dei preti e dei volontari. Chi nella vita ha deciso di dedicarsi ad altro pretende quel che ritiene giusto per il lavoro che fa e per le responsabilità che si assume; i sacrifici, come le poesie, non danno pane. Viviamo un altro tempo, giochiamo altre partite: il pragmatismo prevale sul romanticismo, l’unto del kebab sulla leggerezza del mulino bianco. Il buon medico di famiglia che andava a trovarti a casa anche solamente per chiedere come stavi appartiene ai bei tempi, questi non lo sono e difficilmente ritorneranno. I santi e gli eroi vivono nei ricordi, la missione fa solo rima con professione.

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