S i chiama Bennu e non è sardo. È figlio del sole e viaggia nello spazio. Appartiene alla famiglia degli asteroidi, belli a vedersi quando attraversano il cielo; ma è poco prudente dargli confidenza. Ogni tanto fa la corte alla Terra: le si avvicina, le invia qualche sms siderale, le dà appuntamenti a lunga scadenza. Il prossimo all’anno 2135 salvo imprevisti. Altrimenti, con più precisione, al 24 settembre 2182. Le probabilità che mantenga la parola sono molto poche, soltanto una su 2700. La Nasa, che lo spia come un guardone e gli fa da pronubo, ipotizza un incontro entro il 2300. Si sa, questi oggetti vaganti nelle vie dell’etere sono farfalloni amorosi inaffidabili. Girano in tondo, girano a vuoto. Come quei gentiluomini annoiati che vagabondano oziosamente per le vie cittadine. Non hanno mai fretta, sperimentano atteggiamenti, provano emozioni osservando il paesaggio. Baudelaire li battezzò “flaneurs”, parola che in italiano non ha un’esatta corrispondenza. Ce l’ha, forse, nel termine cagliaritano “oreri”, che identifica chi fa trascorrere le ore osservando gli altri. Anche Bennu è un “flaneur”, un “oreri” celeste che ci osserva. Al prossimo passaggio, fra 114 anni, capiremo se accarezzerà soltanto l’esosfera terrestre oppure se opterà per un abbraccio mortale. Chi di noi vivrà vedrà.

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