I l ministro della Salute americano dice che nel Paese c’è un’epidemia di solitudine. Non è un male contagioso come la parola farebbe pensare: anzi, più ti isoli e più ne vieni colpito. Il punto è che chi passa la vita senza il conforto dei contatti umani ha il 30% in più di possibilità di morire precocemente, più o meno come un fumatore.

Ed è chiaro. Non solo perché chi vive con te spesso finisce per monitorarti (Perché non ti fai controllare quel neo? Secondo me dovresti bere meno. Facciamo una passeggiata?) ma perché due chiacchiere scaldano l’esistenza, o almeno la intiepidiscono. Condividere un aneddoto, rinverdire un ricordo, confrontare un’opinione: è tutta vita, cerebrale ed emotiva.

Ma lo Stato non può farci granché, e infatti il ministro più che annunciare un piano lancia un allarme. E quindi che si fa? Anche in Italia, dove la situazione almeno nei grandi centri non è molto migliore, noi cittadini che possiamo fare? Ci mettiamo a fare compagnia a casaccio alle persone che vediamo più abbacchiate? Facciamo volontariato nei bar di periferia, alle fermate degli autobus? Signore, guardi che non dovrebbe bere tanto caffè, questo è già il terzo. Sì, dico a lei. Aspetti, le dico come è andata oggi in ufficio… Dove va? Si faccia controllare quel neo, ne aveva uno uguale mia zia...

E via così. A sentirci buoni e parlar di noi.

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