U n amico lettore e elettore ieri mi ha confidato: andrò a votare, mi ha convinto Enrico Letta. Notato il mio silenzioso stupore è stato più esplicito. «Mi spiego», mi ha detto a mezza voce come se stesse rilasciando una “dichiarazione spontanea” in tribunale. «Tu sai che il mio orientamento politico tende a sinistra: orfano della Dc, mi sono fatto adottare dal Pd. L’ordine di scuderia del partito è stato perentorio: non andate a votare, fate fallire i referendum. Facendo violenza al mio spirito democratico avevo deciso di aderire al precetto. Ma quando Letta ha motivato la sua esortazione ho cambiato idea. Secondo lui la giustizia è materia troppo complessa per affidarla a un referendum. La gente comune non è in grado di valutarne i meccanismi, non ha nemmeno capito la formulazione dei cinque quesiti, troppo tecnici e complicati. Soltanto la saggezza dei parlamentari, sostiene, può modificare in modo appropriato una tanto delicata materia. Mi sono sentito un minus habens, un bovino del popolo bue. Mi aspettavo che, in difesa dei cittadini e della Costituzione, Mattarella facesse sentire la sua voce. Invece, forse intorpidito dalla lungodegenza quirinalizia, il Presidente, di provenienza Dc e Pd, ha taciuto. Perciò, capìta l’antifona, andrò a votare. Per dare una mano al signor Quorum».

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