A colpire non è tanto che Mark Zuckerberg, fondatore e grande capo di Facebook, si sia sbarazzato in 24 ore prima dei fact checker (la squadra che controlla che sul suo social non compaiano bestialità controfattuali e fake news troppo oscene) e poi delle politiche aziendali per calibrare assunzioni e carriere in base a genere ed etnia. La cosa che impressiona sono i toni con cui lo fa, questa esasperazione da cummenda che di certe frescacce comuniste non ne poteva più, come se non le avesse volute e imposte (pardon: implementate) lui, quando era un new capitalist sensibile e smart. È come se a bruciare la pellicola della Corazzata Potemkin fra gli applausi degli impiegati fosse il critico cinematografico aziendale.

Poi sarà vero che il fact checking non funzionava, o peggio funzionava in base ai pregiudizi dei censori, e che le politiche aziendalmente corrette spesso mortificano il merito. Però delle due l’una: o Zuckerberg lo pensava già, ma doveva lecchinare i benpensanti liberal, oppure lo strilla ora perché deve ingraziarsi i malpensanti Maga. Sappiamo che i soldi non danno la felicità, ma credevamo che 195 miliardi di dollari di patrimonio dessero almeno la libertà. E sarà gretto, ma dà soddisfazione vedere il platinum boy che si dimena per salvarsi il business e pensare: si rilassi, ragioniere, non facci così.

© Riproduzione riservata