Q uando lo fecero fuori da direttore editoriale senza tanti complimenti (che invece avrebbe meritato) Carlo Verdelli scrisse “Roma non perdona”, un memoir pieno di rivelazioni grandi e minime su come funziona la Rai. Una di quelle minime era che nello slang della tv di Stato quando ci si riferisce alla direzione generale si dice “Mazzini” perché il vertice Rai ha gli uffici, appunto, in viale Mazzini. E quindi è tutto un “Mazzini ha bloccato il preserale”, “Mazzini è furioso per gli ascolti” e via così, con un effetto straniante per chi non è addentro al servizio pubblico e ingenuamente immagina Mazzini che urla mentre legge i tabulati dell’audience (e intanto Garibaldi scuote la testa mentre Cavour, diplomatico, fa notare che però gli inserzionisti sono soddisfatti).

Ecco, da qualche tempo sui giornali va prendendo piede un vezzo simile ma ancora più grottesco: scrivere “Chigi” per intendere Palazzo Chigi, e quindi la presidenza del Consiglio. Il gergo serve a due cose: non farsi capire dagli estranei e far percepire al mondo che facciamo parte di un’élite di addetti ai lavori, di conoscitori intimi del tale mondo o del talaltro ambiente. Se vogliamo è l’esatto opposto del giornalismo, che è democratico proprio perché cerca di far capire tutto a tutti. I nomignoli per indicare una sede o un palazzo lasciamoli ai tassisti. Quanto a noi, è meglio se cerchiamo di farci capire.

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