L ’antifascismo oltre a essere un nobile ideale in opposizione al fascismo, è diventato, per cattivo uso, un fortino in cui si rinserrano i “resistenti”. Chi ne detiene le chiavi apre e chiude le porte d’ingresso e d’uscita, assegna appartenenze, anche postume, dà e toglie patenti, condanna e assolve. A menare la danza sono i partiti di sinistra, soprattutto quando hanno perso le leve del potere. Per riconquistarle ritengono che la lotta al fascismo sia una veloce scorciatoia. Quando accertano che la maggioranza degli elettori è contraria ai loro programmi politici tentano di recuperare consensi ventilando un regime fascista alle porte. Chi era antifascista durante il fascismo era un eroe: finiva in galera o al confino. E a qualcuno è andata anche peggio. Chi lo è oggi, ottant’anni dopo la fine di quel regime e in consolidata democrazia, è un mestatore politico. Quando nel 1870 le truppe sabaude occuparono Roma decretando la fine dello Stato Pontificio, gli italiani, a botta calda, si divisero in papisti e antipapisti. Nel 1950, ottant’anni dopo, con l’Italia governata dalla Democrazia Cristiana, un bello spirito inscenò una protesta in piazza contro un incombente regime papista. Fu affidato alle cure degli infermieri della Croce Verde del luogo e portato al manicomio. I manicomi, allora, c’erano ancora.

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