Su Gioddu sardo, cos’è e come si fa
I segreti per la preparazione della ricetta che affonda le sue origini nel mondo agro-pastoraleSu gioddu, una preparazione che ha origine nel mondo agro-pastorale.
Ecco i consigli di preparazione di Annalisa Demarcus del Caseificio Demarcus di Ozieri.
SU GIODDU, LE ORIGINI - Si tratta di un prodotto nato tra i pastori «Mio padre ricorda che si è sempre mangiato, è un alimento povero: chi aveva il latte e lo faceva acidificare, otteneva un prodotto molto nutriente che veniva mangiato anche con il pane e lo si usava come salva-cena. Era una vera cena nutriente, ottimo con il pane carasau e anche con i panini. Oggi, a colazione viene consumato con frutta secca e marmellate di mora e di mirto. Ma anche con noci, cereali».
LA DIFFERENZA CON LO YOGURT – «La differenza fondamentale è che il termine gioddu indica, in sardo, lo yogurt di latte di pecora intero: è solo una differenza di termini.
La funzione del gioddu è la conservazione della nostra flora intestinale. Diversi clienti ultraottantenni, che prima lo facevano in casa, ora comprano il nostro, perché ritrovano i sapori di una volta: quella nota leggermente acidula tipica del Gioddu e il sapore tipico di uno yogurt di pecora, dovuto alle proprietà di quel tipo di latte».
COME PREPARARE SU GIODDU SARDO - «Il nostro gioddu, deriva dal latte di pecora intero, quindi il latte non deve essere scremato, neanche parzialmente, mantenendo quindi tutte le caratteristiche iniziali dello yogurt. Bisogna portare il latte a ebollizione, tra gli 80/82°. In seguito, la temperatura deve essere riabbassata per inserire “sa madrighe” cioè i fermenti lattici vivi per fare poi su gioddu, che deve acidificarsi: quindi il latte da un ph iniziale di 6.5-6.7, che ha quando non ci sono contaminazioni, viene portato a un ph molto più basso: in quel momento avviene la coagulazione che è acida, perché passa da uno stato liquido a uno solido senza che ci sia alcun caglio, a differenza del formaggio. Nello yogurt invece si usano i fermenti lattici che aiutano l’acidificazione, a far quindi abbassare il ph e trasformare l’acido lattico da zucchero ad acido.
Lo facciamo come si faceva una volta: mettiamo il latte in un paiolo, lo si porta a ebollizione a 80-82° poi abbassiamo la temperatura fino a 40-45°; in quel momento aggiungiamo nel latte sa madrighe, i fermenti lattici vivi, si abbassa ulteriormente la temperatura fino a 42° e si mette poi il latte nei vasetti di vetro con una chiusura ermetica. I vasetti vengono poi messi nel carrello di stufatura, o camera calda, che è una vasca con dell’acqua calda dentro a temperatura controllata, che rimane quindi alla temperatura inserita. È un contenitore di acqua calda che tiene la temperatura costante per 14 ore. I vasetti rimangono quindi in questa camera per 14 ore e il giorno dopo è diventato yogurt e viene trasferito direttamente nella cella frigorifera, o nel frigo, a 4°. Anticamente invece si metteva in una coperta calda e si lasciava tutta la notte così da avere la consistenza giusta.
Il nostro è un gioddu a coagulo intero: a differenza di una tecnologia in cui lo yogurt viene mescolato e messo nei vasetti, il nostro quando si apre il vasetto, ha la consistenza del budino, rimane compatto».
DOVE SI PUÒ TROVARE SU GIODDU? – «Ormai in casa lo fanno un po’ tutti: anche se nasce dalla tradizione pastorale. In questo periodo stiamo terminando la produzione, perché il gioddu segue la stagionalità del latte ovino, che inizia a novembre-dicembre con i parti e termina ad agosto. Siamo agli sgoccioli, l’allevamento è a riposo. Invece quello di capra e quello di vacca si trovano sempre».