Fra le ricette sarde più apprezzate c’è Su Pan’e Saba, dolce tipico sardo molto riconoscibile e saporito.

Per parlarne abbiamo contattato Sabrina Tola, titolare della pasticceria Antica Mesa Tola di Meana Sardo, uno dei paesi in cui la preparazione di questo dolce si tramanda da più tempo.

ORIGINI E STORIA. Non è sicuro come sia nata la tradizione: secondo alcuni, sarebbe un dolce nato in occasione della commemorazione dei defunti. Secondo altri, per festeggiare il Natale. Nel paese di Sabrina Tola, Meana Sardo, sarebbe invece un dolce da consumare preferibilmente nel periodo di Pasqua.

PAN’E SABA: L’ANTICA RICETTA SARDA. «Io uso la ricetta di mia nonna. Gli ingredienti erano quelli che si avevano in casa: le piante delle noci, delle nocciole e delle mandorle, la farina e la saba. Mia nonna da giovane aveva un piccolo mulino in casa e anche le vigne. Quindi una volta vendemmiato, si faceva la saba. Mia nonna faceva l'uva passa: mi ricordo che nella soffitta lei appendeva i grappoli dell’uva, li faceva seccare. Mentre adesso la si compra perché deve essere perfetta. Mia nonna usava il lievito madre perché il lievito di birra non c’era. Usava il lievito madre sia per il pane che faceva in casa che un po’ per il pan’e saba. Per quest’ultimo non è necessario molto lievito in quanto è molto ricco di frutta secca; quindi, non richiede una lievitazione molto lunga. Mia nonna lo lasciava riposare dalle 24 alle 48 ore, coprendolo con una coperta. Il giorno che doveva cuocerlo, si accendeva il forno a legna, faceva prima il pane e poi una volta che questo era cotto, si metteva a cuocere il pan’e saba, che va cotto a bassa temperatura, solo con il calore del forno, per almeno un’ora/un’ora e mezza. Ha bisogno di una cottura lunga ma a bassa temperatura, perché non si devono bruciare le mandorle all’esterno».  

INGREDIENTI. «Noi la chiamiamo zichi ed è una farina di grano duro, molto fine. Poi la saba (il mosto di vino cotto), l’uvetta, noci, nocciole. Mia nonna aggiungeva anche degli aromi: d’inverno si sbucciavano le arance e si mettevano vicino al caminetto a seccare, le si tritava e si mettevano dentro l’impasto. Anche i semi d’anice. Adesso gli aromi sono cambiati: c’è chi mette i chiodi di garofano, chi un pizzico di cannella, a piacere».

PREPARAZIONE. «Si impasta su zichi con il lievito madre e la saba calda. Si scalda la saba e lo si lascia impastare così. Poi si aggiunge l’uvetta. Successivamente lo si tocca per capire la consistenza, visto che anche l’uvetta è umida e non deve essere troppo molle. Poi si aggiungono le noci e le nocciole e si impasta tutto, rigorosamente a mano. Una volta che l’impasto è pronto, si mette sul tavolo e si spezza a occhio, ma non più di mezzo chilo a panetto. Poi si possono dare diverse forme: rotonda, a rombo, a fantasia di ognuno. Lo si abbellisce con le mandorle crude che vengono messe sopra, intere o tagliate a metà. Una volta che è stato ‘fiorito’, lo si mette dentro su panili (la cesta per il pane) e si lascia riposare lì per 24-48 ore. Una volta cotto il pane, si mette il pan’e saba e una volta cotto anch’esso, lo si tira fuori dal forno ancora caldo, lo si immerge nella saba, lo si scola e poi si guarnisce con la mompariglia o la tragea. Lo si lascia scolare così e poi lo si confeziona con la carta da pacchi, o anche con delle bustine».

COME CONSERVARE SU PAN’E SABA. «Ha una conservazione molto lunga, anche due mesi. Va tenuto in un luogo fresco, come una cantina, dove non ci sia troppo caldo e si mantenga bene».

ALTRE CURIOSITÀ. «Il nostro Pan’e saba per noi è il dolce pasquale perché solitamente lo si fa nel periodo di Pasqua». Questa prelibatezza può comunque essere consumata anche in altri periodi dell’anno, come in occasione della festività di Ognissanti o del Giorno dei Morti.    

© Riproduzione riservata