Oggi su Ricette sarde parliamo di una serie di dolci che vengono preparati per la festa di Sant’Antonio Abate.

SU PISTIDDU

Questo dolce è tipico della zona di Dorgali, ma esiste anche a Galtellì e Orgosolo. Come altri, lo si preparava soprattutto in occasione della festa di Sant’Antonio per essere poi distribuito dopo i falò accesi nelle piazze dei paesi. Il nome deriva dal verbo pistiddare, ovvero “schiacciare”. La preparazione della pasta prevede di mescolare la farina con lo strutto, lo zucchero, un pizzico di sale e un po’ d’acqua tiepida. Successivamente, viene lavorata finché non si ottiene un impasto morbido e amalgamato. È necessario lasciarlo poi riposare per 30 minuti. Mentre per fare il ripieno bisogna sbucciare le arance, ma senza arrivare al bianco, tostare quindi la buccia in un forno tiepido e tritarla. Si versa poi la sapa in un tegamino e la si scalda a fuoco dolce. Si unisce la scorza delle arance e poi, a pioggia, lo zucchero e la semola. Si continua quindi a cuocere e a mescolare, finché il composto non acquista una consistenza densa, come quella della marmellata. Si toglie poi il tegame dal fuoco e si lascia riposare per 30 minuti.  

SAS COZZULEDDAS

Altri dolci tipici del periodo post natalizio, sono caratteristici della zona di Cardedu e della Sardegna orientale in genere. Per prepararli è necessario far bollire le mandorle, scolarle e, una volta raffreddate, tritarle insieme alle noci. A questo punto si impastano farina e sugna in modo da ottenere un impasto il più possibile omogeneo; questo sarà poi steso come una sfoglia per essere tagliato a pezzi.

Contemporaneamente, bisogna sbucciare le arance, riscaldare il miele e a questo aggiungere zenzero, noci, mandorle, semolino e cannella. Si deve quindi farcire la sfoglia con l’impasto precedentemente ottenuto e a questo punto richiuderlo al fine di ottenere un panzerotto che viene cotto a 220° per 15 minuti. Una volta sfornato, va servito caldo.

CASCHETTAS E TILLICAS

Luciana Balia della pasticceria Cardenia di Mamoiada ci parla delle Caschettas: «Sono fatte con una pasta di mandorle tritata finissima, che poi viene caramellata con miele, zucchero e zafferano. Successivamente si fa riposare la pasta, si ricavano dei bastoncini. E poi si vestono. Si ricava una strisciolina di pasta, molto semplice, farina, poco strutto e poco zucchero, si mette dentro il bastoncino, lo si fa aderire alla pasta, e poi si conferiscono le varie forme. La qualità dello zafferano è molto importante: noi usiamo quello di Mamoiada, mentre il miele è di Orgosolo».

Per preparare le Tillicas, dolce tipico di questo periodo ma anche di quello pasquale, si mettono in una ciotola la semola rimacinata con del sale e del burro morbido. Piano piano, si aggiunge dell’acqua tiepida all’impasto. Una volta che si ha un composto liscio, lo si avvolge nella pellicola e si lascia riposare per 30 minuti.

Mentre l’impasto riposa, si prepara il ripieno di miele e saba. Si tritano le mandorle fino ad ottenere una farina. Si mette in un pentolino la saba, si aggiunge mezzo bicchiere d’acqua e lo si fa bollire. Si aggiungono quindi il miele, la farina di mandorle, la scorza grattugiata dell’arancia e il semolino. Si mescola quindi tutto il composto finché non si stacca dai bordi, si spegne il fuoco e si lascia intiepidire. Si riprende quindi l’impasto e si ricavano delle sfoglie sottili, che si tagliano poi con la rotella. Si prende un po’ di ripieno alla saba, gli si dà una forma allungata e poi lo si mette al centro di una striscia di sfoglia e lo si avvolge con due lembi di questa. Si conferisce poi al dolce la forma che si preferisce (la S di Sant’Antonio ad esempio). Una volta pronte, si mettono le tillicas su una teglia coperta con della carta forno. Dopo aver preriscaldato il forno a 180°, si infornano le tillicas e si lasciano cuocere per 15 minuti. Si possono sfornare una volta che la sfoglia esterna è secca. Si lasciano quindi raffreddare prima di servirle.  

IS PIRICHITTUS

Per conoscere questa preparazione, abbiamo contattato Elena Piccioni della pasticceria “Sorelle Piccioni” di Quartu Sant’Elena. «Si mette l’acqua sul fuoco e appena inizia a bollire si mette subito la farina con l’ammoniaca continuando a girare per almeno 15-20 minuti a fuoco lento, finché l’impasto non è ben formato in modo che non si attacchi. Se si stacca dal tegame l’impasto è pronto. Si lascia raffreddare e poi si aggiungono le uova. Con il cucchiaio si fa poi una “palla” e quando lo si mette nella teglia si forma una specie di beccuccio nella parte superiore. Si formano delle palle più piccole e si mettono nel forno a 200° per mezz’ora. Una volta che prendono colore, si abbassa la temperatura. A questo punto si lasciano ancora dentro il forno, ma spento e parzialmente aperto per un paio d’ore, in modo che la crosta all’interno del pirichitto non resti morbida. Dopo averli tolti dal fuoco si passa una pennellata di zucchero, acqua e acqua fior d’arancio con il pennellino per la glassatura».

SU PAN’E SABA

Nel paese di Sabrina Tola, del panificio Antica Mesa Tola di Meana Sardo, sarebbe invece un dolce da consumare preferibilmente nel periodo di Pasqua.

«Io uso la ricetta di mia nonna. Gli ingredienti erano quelli che si avevano in casa: le piante delle noci, delle nocciole e delle mandorle, la farina e la saba. Una volta vendemmiato, si faceva la saba.

Mia nonna faceva l'uva passa: ricordo che nella soffitta appendeva i grappoli dell’uva e li faceva seccare. Usava il lievito madre, perché il lievito di birra non c’era. Per il pan’e saba non è necessario molto lievito in quanto è molto ricco di frutta secca; quindi, non richiede una lievitazione molto lunga. Mia nonna lo lasciava riposare dalle 24 alle 48 ore, coprendolo con una coperta. Il giorno che doveva cuocerlo, si accendeva il forno a legna, faceva prima il pane e poi una volta che questo era cotto, si metteva a cuocere il pan’e saba, che va cotto a bassa temperatura, solo con il calore del forno, per almeno un’ora/un’ora e mezza. Ha bisogno di una cottura lunga ma a bassa temperatura, perché non si devono bruciare le mandorle all’esterno. Si impasta su zichi con il lievito madre e la saba calda. Si scalda la saba e lo si lascia impastare così. Poi si aggiunge l’uvetta. Successivamente lo si tocca per capire la consistenza, visto che anche l’uvetta è umida e non deve essere troppo molle. Si aggiungono le noci e le nocciole e si impasta tutto, rigorosamente a mano. Una volta che l’impasto è pronto, si mette sul tavolo e si spezza a occhio, ma non più di mezzo chilo a panetto. Si possono dare diverse forme: rotonda, a rombo, secondo la fantasia di ognuno. Lo si abbellisce con le mandorle crude che vengono messe sopra, intere o tagliate a metà. Una volta che è stato ‘fiorito’, lo si mette dentro su panili (la cesta per il pane) e si lascia riposare lì per 24-48 ore. Una volta cotto il pane, si mette il pan’e saba e una volta cotto anch’esso, si toglie dal forno ancora caldo, lo si immerge nella saba, lo si scola e poi si guarnisce con la mompariglia o la tragea. Lo si lascia scolare così e poi lo si confeziona con la carta da pacchi, o anche con delle bustine».

SA PANISCEDDA

Si tratta di una preparazione tipicamente ogliastrina per questo periodo dell’anno. Mescolate alla farina lo zucchero, le bucce d’arancia grattugiate, le spezie, l’olio, mandorle, noci e uvetta. Poi aggiungete la sapa e il lievito di birra sciolto nell’acqua. Lavorate bene il tutto fino a ottenere un impasto omogeneo che lascerete a riposare. Quindi con lo stesso impasto create dei piccoli pani e infornateli in forno già caldo a 180 gradi per mezz’ora. Potete anche creare un unico, grande pane: in questo caso dovrete cuocerlo per 40/45 minuti. Dopo aver sfornato i pani spennellateli con la sapa e fateli raffreddare. Quindi potrete servirli, magari con una granella di frutta secca.

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