Volgendo lo sguardo alla volta celeste, in queste notti è possibile osservare il pianeta Marte brillante come non accadeva da più di due anni. In questo inizio di dicembre Marte è vicino alla Terra e l’8 ha raggiunto la sua massima luminosità, trovandosi in direzione opposta al Sole rispetto al nostro pianeta.

Illuminato dalla nostra stella, Marte appare di colore rosso e la sua luminosità non è sempre uguale. Infatti, orbitando attorno al Sole in poco meno di due anni, si avvicina e si allontana dalla Terra. Conosciuto sin da epoche remote, il pianeta rosso prese il nome del dio della guerra Ares, Marte per i romani, per via del suo colore che ricorda quello del sangue. Osservandolo a occhio nudo con il passare dei mesi, si può notare che la sua posizione cambia rispetto alle costellazioni, questo per l’Uomo ne fece prima un dio e poi una stella errante, un pianeta. Ai primi telescopi Marte non mostrò molti dettagli e si dovette aspettare il diciannovesimo secolo, per avere telescopi abbastanza grandi, da rivelare qualcosa della sua superficie.

Nella seconda metà dell’Ottocento si scatenò una corsa alle osservazioni del pianeta rosso. Calotte polari ghiacciate e apparenti continenti facevano di Marte un mondo molto simile alla Terra. L’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, direttore dell’osservatorio astronomico di Brera, osservò Marte con regolarità, stendendo accurate mappe del pianeta. Nelle sue osservazioni vide che “la vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso di una rete di numerose linee o strisce sottili di color oscuro[...]. Queste linee o strisce sono i famosi canali di Marte.” Se Schiaparelli non espresse ipotesi sulla natura dei canali marziani, altri li attribuirono a una civiltà marziana, costruiti per portare acqua dai poli. L’idea che Marte ospitasse un’ipotetica civiltà intelligente catturò l’immaginario dell’opinione pubblica. Permeò così tanto la cultura popolare, che quando Orson Welles, nel 1938, mise in onda alla radio lo sceneggiato “La Guerra dei Mondi”, una parte dei radioascoltatori credette realmente che i marziani stessero invadendo la Terra.

L’acqua

Ma già dall’inizio del Novecento gli astronomi avevano scartato l’ipotesi che su Marte ci fosse acqua liquida sulla superficie. Si capì che quelle linee scure viste da Schiaparelli non erano altro che illusioni ottiche, causate dalla debole atmosfera marziana e dai suoi venti imponenti. Il vero volto di Marte lo si è potuto vedere negli anni ‘60 e ‘70, quando le prime sonde robotiche ci hanno permesso di scoprirne la natura fredda e desertica. Ricoperto da una tenue atmosfera, la sua temperatura media è di circa 63 gradi sotto lo zero, con estremi che vanno dai -153°C ai poli, fino ai 20°C all’equatore. Sulla superficie è presente una fine sabbia rossa rugginosa e i venti possono soffiare impetuosi raggiungendo i 400 km/h. Vulcani spenti sono presenti in tutto il pianeta, fra i quali si distingue il grande Monte Olympus, la più grande montagna del Sistema Solare, che supera in altezza il monte Everest di quasi tre volte. Inaspettata però fu la scoperta di letti di antichi fiumi. Canali naturali invisibili dalla Terra, ma numerosi. Si contano 200 fiumi in secca che attraversano il pianeta e sfociano in quello che sembrano essere antichi mari marziani.

L’atterraggio

L’acqua è l’elemento essenziale per la vita, e il luogo dove la vita si è sviluppata sulla Terra, circa 4 miliardi di anni fa. La presenza di fiumi su Marte ci racconta di un pianeta che un tempo lontano era il gemello della Terra. Questa scoperta accese l’interesse del mondo scientifico e varie nazioni lanciarono diverse sonde robotiche su Marte, per studiarne le caratteristiche e cercare indizi dell’esistenza di forme di vita. La relativa vicinanza del pianeta permette a una sonda di raggiungerlo in 7 mesi. L’arrivo sul pianeta è la parte più pericolosa del viaggio e se è prevista la discesa sul pianeta, l’atterraggio è qualcosa di estremamente complesso e pericoloso. Poiché l’atmosfera marziana è rarefatta, non basta aprire dei paracadute per frenare l’arrivo della sonda, razzi frenanti o grandi airbag devono essere usati per attenuarne la caduta. Su 44 missioni lanciate verso il pianeta rosso, ben 20 hanno fallito. Grazie alle sonde sopravvissute, gli astronomi hanno iniziato a comprendere la natura di Marte e la sua complessa storia.

l pianeta rosso è un mondo più piccolo della Terra, il suo raggio è pari a circa la metà di quello terrestre. Anche la sua gravità è più bassa, tanto che un uomo dal peso di 100 Kg sulla Terra si troverebbe a pesare poco meno di 38 Kg su Marte. Le forti escursioni termiche dipendono da una combinazione di fattori, da un lato la distanza dal Sole, dall’altro lato la tenue atmosfera che trattiene poco calore. Marte infatti ha un debole effetto serra, che lo condanna a essere un luogo freddo. Ma l’assenza del campo magnetico è la condizione che penalizza maggiormente il pianeta, infatti Marte non ha uno schermo che lo protegga dal vento solare. Vento di particelle cariche che si origina dalla nostra stella, il vento solare erode continuamente l’atmosfera marziana e sterilizza la superficie del pianeta.

Come archeologi, gli astronomi hanno ricostruito la storia di Marte che 3,5 miliardi di anni fa era molto simile alla Terra. Spentosi il suo campo magnetico e diminuita l’attività vulcanica, il vento solare erose l’atmosfera, facendo cadere le temperature e rendendo il pianeta un luogo sterile e freddo. Recentemente si è scoperto che sotto la superficie vicino ai poli esistono mari di acqua liquida salata, l’obiettivo di future missioni, perchè potrebbero essere culle per eventuali forme di vita. In questi giorni, il rover Perseverance della missione Mars2020, sta studiando le rocce di quello che un tempo era un antico lago marziano. Campioni di roccia verranno stivati in uno speciale contenitore con lo scopo di riportarli sulla Terra in una futura missione, per scoprire se mai la vita è apparsa su Marte e se qualcosa è riuscito a sopravvivere, per trovare una prima risposta ad una domanda fondamentale: esiste vita fuori dalla Terra?

Manuel Floris

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«La scienza è un’arte, come la musica. A Cagliari in corso ricerche da Nobel»

Luciano Burderi (archivio L'Unione Sarda)
Luciano Burderi (archivio L'Unione Sarda)
Luciano Burderi (archivio L'Unione Sarda)

Luciano Burderi, astrofisico siciliano, insegna all’università e guida un gruppo alla scoperta dei segreti più nascosti del cosmo

Prima di Claudio Ranieri, diventatone re nel 2016 vincendo la Premier League, fu lui a scoprire Leicester, città al centro dell’Inghilterra. «Studiai in quell’Università, c’era un dipartimento che faceva ricerche sui raggi X». Erano gli anni Novanta. Stelle di neutroni, galassie, lo spazio tempo. Il sacro fuoco si accese due decenni prima in Luciano Burderi, 60enne di Palermo all’epoca immerso negli studi classici. «Ma mi piaceva la scienza. Divoravo riviste sull’argomento». Una sera a Cefalù, in un ritrovo di famiglia, uno zio chiese lumi sui buchi neri. «Nessuno sapeva cosa fossero. Io avevo letto qualcosa mesi prima e risposi. Ricordo gli occhi dei parenti, scioccati. Ero entusiasta». La strada fu segnata. «In quel momento decisi che preferivo l’astronomia».

Oggi è a Cagliari, nel cui Ateneo insegna Astrofisica dopo la laurea e il dottorato di ricerca a Palermo (e dopo aver lavorato all’Osservatorio astronomico di Roma) dove ha conosciuto l’ex direttore dell’Osservatorio astronomico del capoluogo sardo, nonché presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, Niki D’Amico: l’uomo che coordinò la realizzazione del Sardinia radio telescope di San Basilio. «Mi offrì l’opportunità di venire qui per potenziare il dipartimento di Fisica e il suo gruppo interno di astronomia in vista della creazione dell’antenna. Accettai la sfida».

E guida un’importante scuola di Astrofisica.

«È un cerchio che si chiude. L’Astronomia è la parte più bella della fisica perché fa suonare assieme e alla massima potenza tutti i suoi strumenti. Apprendere richiede percorsi anche lunghi, poi però l’attività resta. Plasma il cervello. Bisogna sempre porsi domande fuori dagli schemi, osservare i problemi non solo sulla base di soluzioni ufficiali ma anche da altre prospettive».

Che seguito ha una materia così complicata?

«In media ci sono circa 70 iscritti al primo anno, ma la gran parte non completa il ciclo triennale. Dipende soprattutto dal modo di ragionare. La capacità logico deduttiva è un abito mentale che scarseggia nella scuola, ed è in parte colpa della classe docente. Soprattutto nelle discipline scientifiche è la passione la molla di tutto. Spesso chi arriva in Fisica ha un altissimo entusiasmo ma si scontra con la difficoltà di dover affrontare un percorso sconosciuto. Ne deriva un alto tasso di abbandono. Un problema serio».

Allora ha senso lasciare aperto il corso?

«Su tutto il territorio nazionale la situazione è simile. Chi resta è veramente motivato. La facoltà ha un ottimo standard, siamo coinvolti in progetti internazionali. La Fisica italiana è di alto livello, basta citare Giorgio Parisi, recentissimo premio Nobel. Qui c’è il Sardinia radio telescope, tra i cinque più moderni al mondo. Scrutiamo le onde radio emesse nel cielo cosmico. E poi l’Isola combatte una battaglia importante per il grande progetto europeo dell’Eintein telescope».

Perché l’Einstein telescope è importante?

«Potrebbe cogliere le vibrazioni dello spazio tempo, la struttura stessa del Cosmo, con una precisione mai vista. Come quelle provocate da due stelle di neutroni che diventano un buco nero: si diffondono su miliardi di anni luce e la miniera di Sos Enattos potrebbe captarle senza l’influenza delle vibrazioni della superficie».

Ha citato il Nobel. Cagliari può arrivarci?

«Tutto è possibile. Le figure geniali sono germogli che spuntano casualmente e vanno coltivate. A questi livelli si percepisce la realtà in modo diverso. Ci vuole anche un pizzico di fortuna. Noi insegniamo a essere audaci».

Quali audaci studi sono in corso qui?

«Le stelle più grandi prima o poi collassano per la forza gravità formando stelle di neutroni grandi pochi chilometri e dalla massa gigantesca. È come se tutta l’umanità fosse contenuta in una zolletta di zucchero. Queste stelle girano su loro stesse migliaia di volte al secondo ed emettono luce, pulsazioni, diventando una sorta di orologio cosmico preciso al millesimo di secondo. Un loro sistema doppio è il miglior laboratorio per verificare la teoria della relatività generale di Albert Einstein. Scoperto dal gruppo di ricerca di D’Amico a Cagliari, ne ha confermato le tesi con una precisione mai raggiunta. Eventuali difetti possono emergere solo con uno studio di decenni e noi ci siamo dentro. È uno dei due sacri graal della Fisica».

Qual è l’altro?

«La relatività generale spiega che la gravità spinge l’oggetto schiacciato dal suo stesso peso a diventare un punto. La meccanica quantistica dice invece che su scala piccolissima la natura non ha posizioni ben determinate, non è compatibile con l’esistenza di punti perfettamente definiti. Un palese contrasto. Quindi ai livelli più piccoli la Teoria della relatività generale va sostituita da un’altra. Dobbiamo verificarne le piccole discrepanze e dal nostro studio sui sistemi binari potrebbero emergerne tali da far combaciare le regole del molto grande con quelle del molto piccolo. Questo campo di ricerca si chiama Gravità quantistica e potrebbe portare al Nobel».

Dal 2020 Cagliari lavora al progetto australiano Spirit per lanciare un satellite con un rilevatore di raggi x. A che punto siamo?

«Il lancio è previsto per fine 2023. È un lavoro frutto di una nostra bella intuizione. Ma Cagliari è veramente sulla frontiera delle ricerche di fisica più avanzate: noi, l’Università di Palermo, il Politecnico di Milano e L’Inaf stiamo lavorando anche al progetto internazionale Hermes concepito da me e dai colleghi in collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana per lanciare sei nanosatelliti grandi quanto una scatola di 10 centimetri per 30 che studieranno esplosioni avvenute nello spazio profondo per osservare la luce a diverse lunghezze d’onda. La luce in viaggio da 15 miliardi di anni, da quando è nato il Cosmo, nel percorso accumulerebbe un ritardo di alcune decine di microsecondi. La rilevazione di questi ritardi sarebbe la prima conferma sperimentale degli effetti della Gravità quantistica. La sfida è creare la tecnologia utile a misurare questo dato con i satelliti, che saranno lanciati a inizio 2024».

Lei dice che tra scienza e arte non c’è differenza. La scienza è un’arte?

«Vedo una bellezza intrinseca nell’eleganza e nella logica delle leggi della Natura. Fare scienza è cercare la bellezza. Come fare musica e dipingere. Ti fornisce occhiali con cui la realtà si guarda e percepisce in modo diverso. Come il musicista o il pittore usano note e colori per esprimersi, la matematica è lo strumento con cui il fisico rivela i propri sentimenti e la propria visione del mondo, le angosce, il carattere. C’è molta similitudine tra fisica ad alto livello e arte».

Nel 2020 si parlò della presenza, su Venere, di una molecola originata dalla decomposizione di tessuti organici. Ci sono stati sviluppi?

«La speranza che sia presente la vita si è molto ridotta. Ci sarebbero processi in grado di produrre quella molecola, la Fosfina, e la quantità individuata sul pianeta forse è stata sovra stimata».

Allora le chiedo: c’è vita nello spazio?

«Nell’Universo ci sono cento miliardi di galassie ciascuna con cento miliardi di stelle. È certo ci siano pianeti in condizioni di ospitare la vita. Che sicuramente esiste. Non necessariamente con caratteristiche terrestri. Non siamo speciali. Il sole è una delle tante stelle della Via Lattea. Quel che ci accade non è speciale. La vita è la norma nel Cosmo, magari non dappertutto ma c’è».

Perché non la si trova?

«Per le distanze immense. Per raggiungere la stella più vicina, Proxima centauri, andando alla velocità della luce servirebbero 4 anni. Forse si può puntare sui grandi oceani sotto la crosta di ghiaccio di Europa o Encelado, satelliti di Giove e Saturno. Le creature più antiche sulla Terra sono batteri o gli ancora più primitivi procatrioti, sviluppatisi circa 4,5 miliardi di anni fa attorno alle sorgenti sottomarine calde, i vulcani, dove la luce non svolge alcun ruolo. Le forme di vita si servono dell’energia termica e chimica. Perché non pensare possa essere accaduto altrettanto su quei due corpi celesti? Andrei a esplorare lì».

Andrea Manunza

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Le curiosità dei piccoli

Stelle (foto Ansa)
Stelle (foto Ansa)
Stelle (foto Ansa)

Seimila stelle illuminano la notte

Per quanto la notte possa apparire scura, il cielo notturno è illuminato dalla presenza delle stelle. Allontanandosi dalla città e da fonti luminose, abituando la nostra vista al buio, si può godere dello spettacolo della volta celeste stellata. Seimila stelle appaiono nel cielo, attraversate da una sottile scia luminosa che chiamiamo Via Lattea.

Osservando questi piccoli punti luminosi con lo scorrere della notte, si capisce che anche loro si muovono da est verso ovest, come accade al Sole e alla Luna. Tutto il cielo infatti, appare ruotare attorno a noi. Se guardiamo verso Nord ci rendiamo conto che ci sono stelle che non sorgono e tramontano. In particolare, ci colpisce la presenza di una grande figura, che ricorda la forma di un cucchiaio e che venne chiamata Grande Carro. Questo imponente asterismo ruota in senso antiorario attorno a un punto, li è presente una stella chiamata Polare. La stella Polare non è particolarmente luminosa, ma si trova su quella che possiamo chiamare “la punta della trottola Terra”.

Infatti il nostro pianeta ruota su se stesso come se fosse una trottola, si muove quindi attorno all’asse terrestre. Per pura casualità, l’asse terrestre punta nella direzione Nord verso la Polare, con una così grande precisione che grazie alla Polare possiamo orientarci di Notte e non perdere la strada. Non solo il Grande Carro, ma unendo le stelle, possiamo rappresentare tante figure nella volta celeste, che chiamiamo costellazioni.

Quante stelle ci sono nel cielo?

Le stelle sono tantissime, ma noi ne possiamo osservare circa 6000. Le 400 più brillanti hanno un nome, alcune sono molto conosciute come la Stella Polare e Sirio.

Quanto sono lontane le stelle?

Le stelle sono lontanissime. Se viaggiassimo verso la nostra stella, con l’astronave che ha portato gli uomini sulla Luna, arriveremo sul Sole in circa 3 anni. Se salissimo sulla stessa astronave e puntassimo la stella più vicina, che si chiama Proxima Centauri, viaggeremo nello spazio per più di 70.000 anni (3.75 anni luce).

Di che colore sono le stelle?

Le stelle hanno colori diversi, Blu, Gialle, Rosse e Bianche. Purtroppo riusciamo a vedere solo il colore delle stelle più luminose, molte sono troppo deboli per mostraci il loro vero colore ed appaiono bianche.

Il colore di una stella ci racconta della sua temperatura. Le stelle più fredde sono quelle Rosse, poi ci sono le stelle Gialle un po più calde, mentre quelle che hanno la temperatura più alta sono le Blu e le Bianche.

Quanto è distante il sole?

La stella più vicina è il Sole, dista da noi 150 milioni di km. Se rimpicciolissi tutto il Sistema Solare, in modo che il Sole sia grande come un pallone da calcio, la Terra si troverebbe a 25 metri di distanza.

Come mai cadono le stelle?

Le stelle cadenti non sono stelle, ma piccoli pezzi di ghiaccio e polvere che cadono sulla Terra. Il nostro pianeta è ricoperto da un sottile guscio di gas che chiamiamo aria. Quando il ghiaccio e la polvere passano nell’aria, bruciano e liberano una scia luminosa che vediamo nel cielo della notte.

Qual è la stella più luminosa?

La stella più brillante si chiama Sirio e si osserva nel cielo invernale. Dopo di lei c’è la stella Canopo, invisibile dalla Sardegna. Al terzo posto c’è la stella Arturo, ben visibile nella primavera ed estate.

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