Quanto tempo ci metterà Hollywood a trasformare il coronavirus in un film, o una serie tv? Vogliamo scommettere che qualcuno sta già lavorando a una sceneggiatura? Ma per quanto possa fare in fretta, non arriverà mai primo. Gli hanno rubato l'idea: negli anni '70. Si chiamava "Survivors", in Italia andò in onda dal 1979 col titolo, tradotto letteralmente, "I sopravvissuti". La storia di una manciata di persone scampate a un'epidemia così grave da sterminare la stragrande maggioranza del genere umano, lasciando in vita appena un individuo ogni cinquemila. E il contagio letale si era diffuso, guarda caso, dalla Cina. Non dal mercato del pesce, com'è accaduto stavolta a Wuhan: nella fiction (ma a quei tempi lo chiamavamo sceneggiato) il virus sfugge per errore a un laboratorio scientifico cinese. Che è poi quello che alcuni amanti dei complotti hanno immaginato in questi mesi, davanti all'emergenza sanitaria che sta preoccupando il mondo intero. Chi ha superato i 45 anni probabilmente ricorda "I sopravvissuti", almeno in maniera vaga: era uno di quei programmi che raccoglievano milioni di telespettatori, e poi il giorno dopo ne parlavano tutti.

Anche perché allora l'offerta televisiva si fermava di fatto ai pochi canali Rai. Si trattava di una produzione britannica del 1975 (da noi arrivò con un po' di ritardo), ideata da Terry Nation per la Bbc. Infatti la vicenda si svolge tra Londra e la campagna inglese. Si trova ancora facilmente su YouTube. La sigla iniziale sintetizza l'antefatto: la primissima immagine è il volto ravvicinato di uno scienziato dai lineamenti cinesi, poi l'inquadratura si allarga per mostrarlo al lavoro con una provetta piena di un liquido lattiginoso. Ma questa sfortunatamente cade e va in frantumi. In seguito si intuisce che il virus arriva a Mosca, e da lì una serie di timbri su passaporti di tutto il mondo - Berlino, Singapore, New York e così via - evoca la diffusione planetaria della piaga. Proprio come nella realtà odierna, nello sceneggiato si addebita a Pechino la responsabilità di non aver dato tempestive informazioni sulla malattia, favorendo la moltiplicazione dei contagi.

"Per quanto il governo cinese abbia cercato di non far trapelare la notizia, si parla di milioni e milioni di morti, laggiù", dice uno dei protagonisti nella prima puntata. La storia prende le mosse dai giorni in cui la malattia paralizza Londra, e rapidamente uccide la gran parte della popolazione. I pochi immuni (i sopravvissuti) si ritrovano in un deserto di morte che li riporta all'origine dell'umanità, bisognosi di reimparare il modo di procacciarsi cibo e acqua, costruire degli attrezzi, arrangiarsi senza l'elettricità e le tecnologie. "Survivors" risente forse del clima della guerra fredda, anche se l'incubo atomico non ha un ruolo nella trama. La paura della bomba in quei tempi generò molta letteratura e cinematografia di genere apocalittico. Ma la passione per i virus, nella produzione per il grande e piccolo schermo, è sopravvissuta alla fine della contrapposizione tra Usa e Urss. Non si contano i film e le serie tv sul tema. Tra i primi il più famoso, in tempi recenti, è stato Contagion di Steven Soderbergh: il virus origina, guarda caso, dai pipistrelli. Tra Cina e Hong Kong. Un'altra premonizione? Poi si possono citare molte altre pellicole, come Virus letale, con Dustin Hoffman. Alcune variano sul tema e sconfinano nel genere zombie: per esempio Io sono leggenda, dove Will Smith fa la parte dell'eroe. Un virus che genera morti viventi è anche alla base del plot di The Walking Dead, serie tv di grande successo.

E ce ne sono molte altre sul tema, pure senza zombie: è iniziata proprio un anno fa The Passage, che riprende il topos del morbo sfuggito al controllo degli scienziati ma stavolta senza tirare in ballo la Cina. Invece in Containment un quartiere di Atlanta viene isolato (a costo di sacrificare chi ci vive) per bloccare la diffusione del contagio: oggi in Cina si applicano soluzioni simili ma su megalopoli con milioni di abitanti. Nel catalogo delle serie "virali" figura anche un remake del 2008 di Survivors, ma ebbe meno fortuna dell'originale. Si potrebbero citare molti altri titoli, a decine. Insomma: i virus, che pure ci spaventano, in qualche modo ci affascinano. Ma perché? "Ci fa paura soprattutto ciò che non conosciamo, perché è fuori dal nostro controllo", risponde Nicola Mameli, psicologo e psicoterapeuta: "Però quel che è ignoto, mentre ci fa paura, al tempo stesso esercita un notevole fascino. Hitchcock su questo ci ha costruito una carriera". Negli ultimi anni, prima la Sars e poi Ebola hanno alimentato simili sensazioni: "Il punto è che, quando sorgono queste epidemie, perdiamo molte certezze, anche perché di solito mancano informazioni oggettive. Vediamo ogni giorno decine di servizi al telegiornale, ma spesso sono comunicazioni frammentarie, che aumentano sia il timore che la curiosità. È vero che la paura ci salva", prosegue Mameli, "perché ci fa evitare i pericoli, ma se è eccessiva diventa paranoia e quindi ci blocca. Arrivando a fobie che rischiano di compromettere persino l'economia: in questi giorni c'è chi rinuncia a entrare in un ristorante cinese, o a viaggiare". Esistono tante malattie molto più pericolose, ma le epidemie ci spaventano di più forse perché il pericolo può nascondersi nelle persone a noi più vicine: "O anche in noi stessi", conferma l'esperto, "possiamo diventare tutti vittime o portatori. E a questo si somma la paura dello sconosciuto, la stessa per cui si era diffuso l'allarme scabbia in seguito alle migrazioni dall'Africa: poi si è visto che non c'è stato alcun contagio. Abbiamo la necessità di trovare qualcosa su cui scaricare le nostre angosce, perché è deresponsabilizzante". Questo spiega le teorie complottistiche, la fuga del virus dal fantomatico laboratorio cinese, nel telefilm di quarant'anni fa come nelle fake news odierne: "Tendiamo proprio a trasformarlo in un film", riflette Nicola Mameli, "è rassicurante trovare spiegazioni di quel tipo, piuttosto che ammettere che non sappiamo com'è nato un virus, come si propaga. Il coronavirus, come la Sars, proviene dalla Cina, un paese con una forma di comunicazione molto chiusa, e questo facilita le teorie misteriose. Potremmo dire che è la sceneggiatura perfetta". Si ritorna dunque al tema delle informazioni, connesso a quello della responsabilità dei mass media: "Non credo che la soluzione sia dare meno notizie", conclude lo psicologo, "bisognerebbe però garantire una comunicazione il più possibile netta e precisa. Dare messaggi che lasciano troppo spazio all'interpretazione alimenta l'incertezza e la fantasia". Del resto la paura delle epidemie ce la portiamo appresso come un fatto ancestrale, decine di generazioni in passato sono state decimate da malattie contagiose. Alcune delle manifestazioni religiose ancora oggi più sentite, in molte città, sono legate alle pestilenze. E i meno giovani hanno potuto sentire i racconti di testimoni diretti del terrore provocato dall'influenza spagnola, un secolo fa. Il virus Covid-19, com'è stato ribattezzato quello partito da Wuhan, sembra finora meno aggressivo di quelli che hanno provocato bilanci terribili. Ma ha già mietuto un pesante fardello di vite umane, meglio continuare a guardarlo col giusto timore.
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