L'11 febbraio si è celebrata la giornata mondiale dell'epilessia, organizzata dalla International League Against Epilepsy (ILAE) e in Italia dalla Lega italiana Contro l'Epilessia (LICE), che ha lanciato lo slogan sui social #epilessianonmifaipaura.

Una parola che ha attraversato l'intera rete globale, diventando una vera e propria catena umana virtuale attraverso il quale molte persone si sono agganciate, condividendo un messaggio importante per abbattere i solidi muri del pregiudizio che si innalzano quotidianamente tra coloro che non conoscono la malattia e chi, invece, ci deve convivere ogni giorno.

È necessaria una corretta informazione per abbattere ogni forma di pregiudizio e discriminazione. Chi è affetto da epilessia non ne parla con facilità. La paura di un giudizio errato si bilancia con il peso di un dolore che ingabbia la libertà, sopraggiungendo all'improvviso e profanando la bellezza della luce del sole per far spazio al buio di un blackout indesiderato. La perdita di coscienza, le convulsioni, sono le conseguenze fisiche che si porta addosso un epilettico e che si riflettono sullo spettatore, spesso inerte davanti a tutto ciò. Una malattia che viene ancora alimentata dal pregiudizio errato di una società contemporanea che sembra prestarsi poco all'ascolto, desensibilizzandosi dietro una tastiera che non risparmia niente e nessuno e che si riflette in un mondo in cui la luce del sole è mutevole ogni giorno. Chi ne è affetto, invece, non esterna con facilità le proprie sensazioni e spesso preferisce rifugiarsi nell'assordante silenzio. Un blackout improvviso, silenzioso come i passi degli infermieri che monitorano i battiti del cuore per accertare che vada tutto bene.

È questa la sensazione che prova chi ne soffre che viene spesso considerato un peso per se e per gli altri. Sono circa 65 milioni le persone in tutto il mondo che soffrono di epilessia, in Europa se ne contano 6 milioni. L'epilessia non è una malattia che si può prevenire ma si può certamente arginare mediante l'uso dei farmaci che riducono le crisi, i casi più gravi vengono curati con l'intervento chirurgico.

In occasione della Giornata mondiale dell'epilessia, si è acceso un bagliore di luce viola sul tetto di molte città italiane. Roma e la Fontana della Barcaccia in Piazza di Spagna, Torino e la Mole Antonelliana, il Teatro Margherita di Bari, il Palazzo dell’Emiciclo a L’Acquila, Venafro, poi ancora Novara, Villa Reale di Monza, Milano. Un fascio di luce ha graffiato il cielo, facendo capire a tutti che l'epilessia non è una colpa per chi ne è affetto, non deve essere motivo di imbarazzo.

L'epilessia è una malattia che non deve pesare come un macigno ponendosi come barriera per l'emarginazione sociale. Chi ne soffre non è diverso. Chi ne soffre non è la sua malattia, è la paura di alcuni che ne amplifica il senso di colpa. Una luce viola sulle coscienze al fine di sensibilizzare e informare i cittadini per far conoscere questa malattia neurologica, considerata per secoli un "oscuro male" e oggi, purtroppo, tra i più diffusi in tutto il mondo.

Chi soffre di epilessia è restio nel parlarne perché la società ha sempre alzato muri invalicabili, costruendo storie che vanno al di là della più fervida immaginazione. Oggi la medicina ne spiega il danno e la sintomatologia ma un tempo tutto ciò sembrava fantascienza. Il pensiero comune, infatti, vedeva l'epilettico come posseduto dal maligno, indemoniato, altri addirittura pensavano che l'epilessia fosse contagiosa mediante la saliva emessa durante l'espulsione di una crisi.

L'epilessia non è contagiosa, non è una patologia infettiva. Molti epilettici hanno subito in passato impedimenti sul fronte lavorativo, come licenziamenti. Il 70% degli epilettici è perfettamente in grado di svolgere attività lavorative al pari degli altri. "Spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall'opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa", scriveva Seneca.

Angelo Barraco
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