Tra le neoplasie ginecologiche più pericolose, il triste primato va al tumore dell'ovaio, patologia che in Italia affligge circa 50 mila donne e i cui nuovi casi, nel 2018, sono stati 5.200. Il cancro ovarico rappresenta circa il 30 per cento di tutti i tumori maligni dell'apparato genitale femminile e occupa il decimo posto (3 per cento) tra le neoplasie che colpiscono le donne.

Le evidenze scientifiche identificano tre categorie di fattori di rischio: ormonali, ambientali e, nel 20 per cento dei casi, ereditari. In particolare, una mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2, ereditata dalla madre o dal padre, determina una predisposizione a sviluppare il tumore con più frequenza rispetto alla popolazione generale.

Nell'ottica della prevenzione, dunque, intercettare per tempo le donne sane che presentano la predisposizione ereditaria porterebbe a salvaguardare migliaia di vite, tuttavia in Italia "soltanto Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna e Toscana hanno stabilito la rimborsabilità sia del test genetico per i familiari delle donne colpite dal carcinoma dell'ovaio e che siano risultate positive a questo esame, sia del conseguente percorso di profilassi", sottolinea Stefania Gori, presidente nazionale dell'Associazione italiana di Oncologia Medica.

La posta in palio è alta, considerati i preoccupanti numeri del cancro ovarico. Si stima che il rischio di sviluppare questa neoplasia nell'arco della vita di una donna sia di 1 su 75. La sopravvivenza a 5 anni in Italia è pari al 39,5%, quella a 10 anni scende al 31%. La proporzione maggiore di casi prevalenti si osserva nella fascia d'età 60-74 anni, con 326 casi ogni 100mila soggetti di sesso femminile.

E i dati fanno riflettere: "La sopravvivenza delle pazienti a cinque anni dalla diagnosi - spiega Fabrizio Nicolis, presidente della Fondazione Aiom - è così bassa perché circa l'80 per cento di questi carcinomi si individua in forma già avanzata".

L'identificazione tempestiva di una alterazione dei geni BRCA consente di pianificare per la paziente un percorso terapeutico adeguato, e se ciò avvenisse in maniera sistematica "assisteremmo nel giro di dieci anni - spiega Stefania Gori - a una riduzione delle diagnosi del 40 per cento".

L'importanza di accedere al test per individuare eventuali mutazioni dei geni BRCA, ha inoltre un importante effetto a cascata sulla famiglia e permette ai familiari l'accesso alla consulenza specialistica e al test per accertare la presenza della mutazione genetica.
© Riproduzione riservata