L'esigenza di avere informazioni e risposte rapide, anche in ambito medico, sta modificando la comunicazione fra esperti e pazienti.

E un'espressione come "Dottore, ritiro gli esami e le mando un WhatsApp" è ormai di uso corrente nelle conversazioni con il personale sanitario.

A confermarlo un'indagine dell'Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, che rileva che il 42% dei medici utilizza WhatsApp per comunicare con i propri pazienti e il 29% degli intervistati, che ancora non sfruttano l'app di messaggistica con i pazienti, ha dichiarato l’intenzione di servirsene in futuro.

Il tema è anche al centro del congresso nazionale AME, Associazione Medici Endocrinologi, che aprirà i suoi lavori domani, giovedì 8 novembre.

"In realtà non cambia la professione e il suo contenuto - spiega l'endocrinologo Agostino Paoletta - cambia il modo in cui viene esercitata. La tecnologia mette a disposizione nuovi sistemi di organizzazione interna e nuovi strumenti di relazione con i pazienti, obiettivamente più rapidi e funzionali, quali mail, WhatsApp e molto altro. I medici sono sempre più attenti alle nuove tecnologie e sono consapevoli che sarebbe anacronistico non impiegarli anche nella comunicazione con i pazienti. WhatsApp consente lo scambio di dati, immagini e informazioni; ma anche l'utilizzo di software e App in ambito sanitario è cresciuto negli ultimi anni rivoluzionando completamente il rapporto tra pazienti, medici e operatori sanitari”.

Le soluzioni digitali giocano, dunque, un ruolo fondamentale nel supportare la transizione verso nuovi modelli di cura. Ma a fronte di un'innegabile rapidità e immediatezza di comunicazione, le nuove tecnologie informatiche pongono numerose problematiche tra cui quelle connesse al trattamento dei dati personali sensibili.

Le criticità riguardano, inoltre, la preoccupazione dei medici relativamente al carico di lavoro supplementare, non preventivato e non codificato. Se si pensa al numero di pazienti per medico si può capire quale possa essere la mole di lavoro dovuto al solo scambio di messaggi ma, l'altro aspetto, è relativo a come queste interazioni debbano essere considerate, ovvero sono da considerarsi a pieno titolo prestazioni sanitarie che però restano nella buona volontà del singolo medico?

"Nel rapporto con i pazienti – chiarisce l'avvocato Maria Giovanna Savio - l'uso di strumenti informatici come WhatsApp, sms e mail non muta il contenuto della prestazione professionale e le responsabilità da essa derivanti, poiché il documento informatico ha pieno valore di legge. Questo, evidentemente, comporta la necessità di una riflessione sulla nuova dimensione della prestazione medica anche da parte delle Istituzioni Sanitarie".

C'è poi il tema della sicurezza. "Negli ultimi anni la cyber minaccia ha raggiunto, in termini assoluti, livelli di guardia mai sperimentati in passato – il commento di Nunzia Ciardi, direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni -. Lo strumento informatico è un'opportunità irrinunciabile ma di contro la criminalità, comune ed organizzata, può oggi giovarsi, grazie anche alle tecniche di anonimizzazione della navigazione e dei pagamenti, di un accesso agevolato a strumenti e servizi criminali in rete, spesso distribuiti nelle pieghe del cosiddetto 'darkweb'". Un fenomeno da cui anche il mondo sanitario non è certo esente.

E osservando i dati statistici di raffronto tra il 2016 ed il 2017 relativi all'incremento degli attacchi gravi ai danni delle diverse categorie di settore, si evince che la categoria "Healthcare" è risultata una tra le più esposte con un + 9% di casi.

(Unioneonline/v.l.)
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