Colpo di Stato in Birmania, dove il capo del governo Aung San Suu Kyi è stata arrestata dalle forze armate.

"E' detenuta a Naypyidaw, la capitale del Paese", aveva annunciato la portavoce del suo partito (Lega nazionale per la democrazia) Myo Nyunt.

Anche altri funzionari del partito sono stati arrestati. Gli arresti sono avvenuti poche ore prima della riunione inaugurale del Parlamento recentemente insediato.

"Le elezioni con il pretesto della pandemia non sono state né libere né eque", aveva detto in conferenza stampa la scorsa settimana il portavoce dell'esercito, affermando che i militari hanno identificato milioni di casi di frode.

"Non accettate il golpe", è l'appello alla popolazione della presidente incarcerata.

Dopo gli arresti l'esercito birmano ha annunciato l'imposizione di uno stato di emergenza per la durata di un anno. Tutti i poteri sono stati trasferiti al generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate.

Nel Paese si sono verificate gravi interruzioni sulla rete Internet, che rendono più difficile seguire il succedersi degli aventi che si stanno verificando nelle ultime ore. Chiuse fino a nuovo ordine tutte le banche del Paese e sospesi anche i servizi di prelievo automatici.

LA CONDANNA INTERNAZIONALE - La Casa Bianca con un comunicato ha chiesto alle forze armate e a tutte le parti in causa "di aderire alle norme democratiche e rilasciare i detenuti". Gli Usa si dicono "allarmati" dalle notizie che arrivano e "si oppongono a ogni tentativo di alterare il risultato delle recenti elezioni".

Anche l'Unione europea interviene: "Condanno fortemente il colpo di stato in Birmania e chiedo ai militari di rilasciare quanti sono stati detenuti illegalmente durante i raid in tutto il Paese. Il risultato delle elezioni deve essere rispettato e deve essere ripristinato il processo democratico", ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.

E l'Italia "condanna fermamente tutti gli arresti" con un comunicato della Farnesina e chiede il rilascio della presidente e di "tutti i leader politici arrestati".

Il partito di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, molto criticato a livello internazionale per la gestione della crisi musulmana Rohingya ma ancora adorato dalla maggioranza della popolazione, ha ottenuto una schiacciante vittoria a novembre.

(Unioneonline/L)
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