"L'hanno interrogato illegalmente per trenta ore. E poi, sì, gli hanno chiesto anche dei suoi legami con la famiglia di Giulio Regeni. Dal 2016, di quel ragazzo italiano si parla su tutti i social media e anche Patrick conosceva il caso, se n'era interessato".

Sono le parole dei genitori di Patrick Zaki, lo studente dell'Università di Bologna che giovedì notte è stato arrestato all'aeroporto del Cairo perché accusato dal suo Paese di provenienza, l'Egitto, di istigazione alle proteste e diffusione di notizie false.

Gli Zaki, raggiunti nella loro casa egiziana a Mansura da Repubblica e Corriere della Sera, che oggi pubblicano un reportage, spiegano come nei confronti di Patrick "è stato emesso un mandato di comparizione il 24 settembre, ma nessuno glielo ha comunicato. Per questo è stato fermato alla frontiera". "Lì - evidenzia il legale della famiglia - è stato bendato e portato da qualche parte al Cairo. È stato detenuto e interrogato per 30 ore, torturato. Lo picchiavano e gli chiedevano dei suoi legami con l'Italia e con la famiglia di Giulio Regeni. Patrick non sa nulla di tutto questo: così alla fine lo hanno trasferito qui a Mansura".

"Nostro figlio stava tornando a casa per festeggiare gli ottimi voti ottenuti e ci siamo ritrovati a portargli cibo e vestiti in prigione. Vogliamo soltanto che torni a casa'', dicono ancora i genitori. "Patrick difende le sue libere opinioni, ma conosce bene i limiti. Siamo una famiglia pacifica, nostro figlio non ha fatto nulla di sbagliato e non è mai stato una minaccia o un pericolo per nessuno, anzi: ha sostenuto e aiutato molta gente".

"Ce l'hanno fatto vedere domenica. Lo rivediamo giovedì. Solo dieci minuti in parlatorio, assieme agli altri detenuti, presente un agente di polizia", proseguono i genitori. "Domani portiamo a Patrick i libri. Ha chiesto di studiare, vuole essere pronto per gli esami di marzo. La nostra speranza è questa sua forza".

(Unioneonline/v.l.)
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