Vent'anni in carcere, con l'ergastolo da scontare. E fuori un mondo che parla di lui, che solleva dubbi sulla sua reale colpevolezza: "Non teorie, ma elementi concreti". Di Chico Forti parla l'Italia, molto meno gli Stati Uniti, in particolare la Florida dove si trova l'istituto di pena in cui l'italiano è stato rinchiuso a vita e dove si è svolto il processo.

Originario di Trento, Chico (vero nome Enrico) ha ora 60 anni. Era il 1998 quando è finito alla sbarra con l'accusa di aver ucciso Dale Pike, il figlio di un americano col quale aveva fatto affari. Due colpi calibro 22 alla nuca del giovane, e il cadavere abbandonato sulla spiaggia di Sewer Beach. Intorno al corpo vari elementi riconducibili all'italiano: un biglietto aereo da lui pagato su incarico del padre della vittima, una tessera telefonica con chiamate sempre a suo carico. "Impossibile - aveva detto il suo amico Roberto Fodde - che una persona piazzi sulla scena del delitto indizi contro se stesso".

E in questi mesi si è riacceso il caso grazie anche ai servizi della trasmissione "Le Iene", che hanno analizzato i punti non chiari e non approfonditi, altri non considerati dalla giuria, altri ancora che potrebbero essere stati manipolati dagli investigatori e, per loro stessa ammissione, mal interpretati dagli inquirenti oppure rilevati in modo errato. Uno su tutti: i tabulati di una cabina telefonica recuperati nell'anno sbagliato: non 1998 ma 1999.

Intanto la vita di Chico si è come fermata al giorno della condanna. I suoi tre figli crescono senza di lui: Savannah Sky, nata nel 1994, Jenna Blue due anni dopo e Francesco Luce, nel 1998. E la sua compagna si è trasferita alle Hawaii con i ragazzi.

Tutto questo non influisce sul suo ottimismo, che quotidianamente pensa a come sopravvivere in cella consapevole della sua innocenza. Quindi l'assassino sarebbe ancora in libertà. Ma non lo pensa solo lui: anche la famiglia di Dale Pike (suo padre, morto nel frattempo, e suo fratello) ha espresso perplessità sulla condanna proprio alla luce dei numerosi elementi forniti dalla difesa.

LA RICOSTRUZIONE - Chico era arrivato in America con un bel "gruzzoletto" dopo la vittoria a "Telemike". Con 86 milioni di vecchie lire, la grande passione per il windsurf, di cui era un campione e che ha dovuto abbandonare per un brutto infortunio, si era inventato videomaker e produttore. Realizzava reportage su sport estremi che poi vendeva alle tv. Viveva in una zona esclusiva di Miami e tutto procedeva per il meglio. Fino a quel maledetto giorno, quando viene ritrovato il corpo senza vita di Pike. Ma chi era Dale?

Uomo d'affari, aveva con Chico un appuntamento in aeroporto. Dovevano vedersi per discutere di un importante investimento che riguardava un hotel. Ma, secondo quanto raccontato dall'italiano, mentre erano in macchina Dale ha chiesto di fermarsi a una stazione di servizio per comprare delle sigarette, poi ha fatto una telefonata dalla cabina e gli ha chiesto di lasciarlo in un preciso luogo per incontrare degli amici.

Da lì in poi c'è il nulla, solo un cadavere e degli elementi dubbi.

Nemmeno l'arma è mai stata ritrovata, ma è quello l'oggetto che tira in ballo un'altra persona: Thomas Knott. Amico di Chico, era andato con lui in un grande magazzino e lì - guarda caso - aveva acquistato una calibro 22 pagata da Forti perché la sua carta di credito - sempre guarda caso - non poteva essere usata. La circostanza era stata confermata anche dal commesso che aveva specificato come la pistola fosse stata "intestata a Knott ma pagata da Forti". E Knott non era una persona qualsiasi, ma un pregiudicato che in Germania era noto per le sue truffe; negli Usa nessuno sapeva dei suoi precedenti ed era stato lui a far conoscere Dale e Chico.

Riassumendo: arma del delitto mai ritrovata e mai ritrovata la calibro 22 di Knott.

Chico insieme a Roberto Fodde (foto concessa)
Chico insieme a Roberto Fodde (foto concessa)
Chico insieme a Roberto Fodde (foto concessa)

LE ACCUSE - Di sicuro ci sono invece gli oggetti intorno al corpo di Dale, come la scheda telefonica con chiamate a carico dell'italiano. Sulla quale però non ci sono impronte. Né di Chico né della vittima. E, in costanza del sospetto che Forti fosse l'assassino, come mai non è stato sottoposto al guanto di paraffina? La tecnica ora è superata ma all'epoca era molto in voga. Se avesse sparato le tracce della polvere da sparo ci sarebbero state. E invece la prova è stata fatta all'uomo che ha ritrovato il cadavere.

Un altro elemento usato dall'accusa riguarda la sabbia. Quando ormai il tempo per le indagini era in zona Cesarini, alcuni granelli sono stati recuperati dal gancio esterno dell'auto di Chico. Hanno contribuito a "incastrare" il nostro connazionale rappresentando agli occhi dei giurati una prova regina. Gli accertamenti hanno infatti appurato che provenissero proprio dalla spiaggia di Sewer Beach. Peccato che siano stati prelevati tre mesi dopo e che la macchina - seppur sotto sequestro - avesse viaggiato per le strade di Miami. Esistono le foto di quel prelievo? No. Solo quelle dei granelli dentro una provetta. Strana circostanza perché di tutto il resto invece ci sono documentazioni fotografiche. E peccato anche che quel tipo di sabbia – di riporto – sia presente in tutta l’area.

LA BUGIA - Il grave errore di Chico, quello che gli è costato la condanna all'ergastolo, è stato quello di non aver detto subito di aver prelevato Pike all'aeroporto. Ha raccontato di averlo atteso inutilmente, ma le cose non sono andate così. Perché lo ha fatto? "Non ricordo - aveva ammesso - forse non lo avevo detto a mia moglie perché non mi sembrava importante", e poi aveva saputo dell'omicidio e temeva di essere (ingiustamente) coinvolto.

IL PUNTO - L'Italia ha annunciato qualche settimana fa che chiederà allo Stato della Florida la grazia per Forti. "Una richiesta da fare subito - ha spiegato Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - in maniera forte, diplomatica, con tutte le nostre risorse con gli Usa".

"Questi vent'anni - sono state le parole di Forti - non me li potrà ridare nessuno, ma a tenermi in vita è la speranza che qualcuno mi ascolti e mi si dia la possibilità di far valere la mia difesa attraverso gli elementi non considerati o mal valutati". Si moltiplicano gli appelli e gli italiani si dividono tra innocentisti e colpevolisti: "Non chiedo atti caritatevoli - ha concluso Chico - chiedo solo giustizia".
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