"Tutti, quando escono, sono persone diverse, anche chi negava o era dubbioso sull'esistenza del virus. Anzi, alcuni di questi sono tra quelli che più cercano di tirare su il morale degli altri pazienti vicini".

Elena Manzin, 50 anni, da mesi è in prima linea nella lotta al Covid sia al pronto soccorso per i pazienti non Covid sia nell'ospedale allestito dall'Humanitas per i malati di Covid-19.

"In mezzo a questa pandemia - racconta - vedo i pazienti con gli occhi più spaventati che io abbia mai incontrato in tutta la mia vita professionale. Eppure sono proprio quegli occhi che mi danno la forza di andare avanti: dicono che quelle persone vogliono lottare, credono in noi. Tutti i pazienti, giovani o vecchi, vogliono vivere e lottano per questo, si sostengono a vicenda".

"Noi cerchiamo di andare incontro alle loro necessità, li facciamo comunicare con i parenti dandogli il tablet e parliamo anche noi con i loro familiari, in modo da rassicurare entrambi", spiega: "Tutti lavoriamo per migliorare la situazione e infondere coraggio a chi per un momento perde la speranza - continua -. Sono occhi che ringraziano per quello che possiamo fare per loro, occhi di persone che sanno che ci siamo solo noi in quel momento a poter stare loro accanto".

Già dopo 2-3 giorni, aggiunge, "i pazienti sono diversi, anche chi negava il virus. Uno dei pazienti che più mi ha dato soddisfazione, è stato un ragazzo di 17 anni obeso, che per 3 giorni ha anche dovuto indossare il casco Cpap, molto fastidioso, ancora di più per chi ha problemi di obesità. Lui era uno di quelli che credeva poco al virus ma poi ha cambiato idea ed era sempre sorridente. Quando gli abbiamo tolto il casco era felicissimo perché poteva andare avanti a vivere e tirava su di morale le persone che aveva vicino".

(Unioneonline/D)
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