"Nessuno può capire davvero quanto sia dura sia fisicamente che psicologicamente. Ogni ora è un giorno ed ogni giorno è una settimana e la sofferenza si abbatte giorno e notte nello status di detenuto, aggravato ancor di più da una accusa infamante quale l’omicidio di una povera bambina".

A parlare è Massimo Bossetti, il muratore condannato all'ergastolo per l'omicidio della giovane Yara Gambirasio, commesso in provincia di Bergamo nel 2010.

Bossetti ha scritto dal carcere al quotidiano Libero, cercando di spiegare i suoi sentimenti e ribadendo, oltre che la sua innocenza, anche la volontà di chiedere la revisione del processo che, dopo tre gradi di giudizio, l'ha definitivamente giudicato colpevole.

In particolare, attraverso i suoi legali, il manovale chiede che vengano rivisti i risultati degli esami genetici e che siano effettuate nuove analisi sui campioni disponibili.

"Voglio avere giustizia, ma la Corte d’assise mi impedisce di provare che il Dna sul corpo di Yara non è mio", dice Bossetti. Aggiugendo: "Resisto fondamentalmente per i miei cari familiari che non hanno mai smesso di credere in me, per tutte le persone che mi stanno accanto e chemi vogliono bene e soprattutto perché dimostrare la mia innocenza è diventata fonte della mia ragione di vita. Una persona innocente deve essere disposta a tutto, anche a morire, se dovrà essere necessario farlo. La mia colpa è quella di essere innocente e il vero problema è di essere un cittadino assalito da un terribile errore giudiziario".

(Unioneonline/l.f.)
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