È il giorno della verità sulle condanne per l'omicidio di Marco Vannini, il giovane di 20 anni ucciso da un colpo di pistola e dai mancati tempestivi soccorsi il 18 maggio 2015, mentre si trovava nell'appartamento della sua fidanzata a Ladispoli, in provincia di Roma.

Ad aver presentato reclamo ai supremi giudici sono il Sostituto procuratore della Corte di Appello di Roma, Vincenzo Savariano, e i genitori della giovane vittima, contrari alla riduzione di pena arrivata, in appello, il 29 gennaio 2019 in favore di Antonio Ciontoli, padre della fidanzata di Vannini.

L'uomo - sottufficiale della Marina militare distaccato ai servizi segreti e sospeso dal servizio a seguito di questa vicenda giudiziaria - ha ottenuto in secondo grado la riduzione della condanna emessa dal Tribunale di Roma il 18 aprile 2018, e scesa da 14 a cinque anni di reclusione con il capo d'accusa "derubricato" da omicidio volontario a omicidio colposo.

Sia in primo che in secondo grado, invece, sono rimaste immutate le condanne per omicidio colposo a tre anni di reclusione ciascuno per Maria Pezzillo, moglie di Ciontoli, e per i loro figli Federico e Martina, la ragazza di Marco Vannini. Il Pg, in secondo grado, aveva chiesto 14 anni di carcere per tutta la famiglia finita sul banco degli imputati.

Secondo le ricostruzioni dell'accusa, Marco Vannini si trovava in casa della fidanzata, nel bagno dove si stava lavando nella vasca, quando Antonio Ciontoli entrò per prendere un'arma da una scarpiera che si trovava proprio nel bagno. Sempre secondo le ricostruzioni partì allora un colpo che ferì gravemente il ragazzo. E a quel punto ci sarebbe stato un ritardo "consapevole" nei soccorsi: secondo l'accusa Vannini fu lasciato per tre ore agonizzante con la complicità dell'intera famiglia Ciontoli e le sue condizioni peggiorarono fino a morire.

Stando alla ricostruzione dei fatti elaborata dalla Corte di Appello, Ciontoli non voleva uccidere Vannini e nel suo atto non ci fu "dolo", ma poi il sottufficiale evitò "consapevolmente e reiteratamente l'attivazione di immediati soccorsi" attuando una condotta "odiosa e riprovevole" per "evitare conseguenze dannose in ambito lavorativo".

Ed è attenuata anche la responsabilità dei suoi familiari in quanto "difettavano della piena conoscenza delle circostanze" di quanto era accaduto al povero Marco.

A fare discutere, il maggio scorso, era stata anche una testimonianza riportata dalla trasmissione "Le Iene", secondo cui a sparare non sarebbe stato Ciontoli ma uno dei familiari.

(Unioneonline/v.l.)
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