"Elementi di fatto a conferma del carattere mafioso dell'associazione possono trarsi anche dalla protezione garantita ad imprenditori e dal successivo inserimento nella loro attività con un rapporto caratterizzato dalla gestione di affari in comune".

È quanto si legge fra le 590 pagine delle motivazioni depositate dai giudici dalla terza Corte d'Appello di Roma in merito alla sentenza su Mafia Capitale.

La Corte, lo scorso settembre, ha ribaltato la decisione presa in primo grado riconoscendo il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e condannando l'ex terrorista dei Nar Massimo Carminati e il ras delle coop romane, Salvatore Buzzi, rispettivamente a 14 anni e mezzo e a 18 anni e 4 mesi.

"Nel paragrafo 'L'omertà' - scrivono i giudici - si dà rilievo al fatto che nell'orbita del distributore di benzina di Corso Francia non furono presentate denunce delle violenze e intimidazioni subite e nel settore della pubblica amministrazione nessuno, e nemmeno gli imprenditori che avevano rinunciato a gare di appalti, presentò atti di denuncia o manifestò dissenso. Queste condizioni di assoggettamento e di omertà derivante dalla forza intimidatrice espressa dall'associazione sono emerse soltanto grazie alle intercettazioni telefoniche".

"Ai fini della sussistenza del delitto di associazione mafiosa, non è rilevante né il numero modesto delle vittime (che il tribunale ha indicato nel numero di 11) né il limitato contesto relazionale e territoriale. Non può escludersi il carattere mafioso della nuova associazione perché non sono elementi costitutivi di tale elemento né il controllo generale del territorio né una generalizzata condizione di assoggettamento e omertà della collettività. Nell'associazione Carminati conferì la sua forza di intimidazione e Buzzi conferì l'organizzazione delle cooperative e il collaudato sistema di corruttela e prevaricazione".

(Unioneonline/D)
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