Non tutte le storie di Covid finiscono male, ci sono persone, tante, che dopo un'autentica battaglia lo hanno vinto, lottando strenuamente contro il terribile virus, anche quando sembrava fosse finita, aiutati dalla grande solidarietà degli amici e anche dalla perizia, umanità e professionalità dei medici e di tutto il personale ospedaliero.

Questa è la drammatica vicenda di Lelle Rubino, 73 anni, ex agente di commercio di Sassari, una vita arbitro di calcio. Una figura notissima in città e in tutta la Sardegna.

Ecco il suo racconto. "Sabato mattina, 16 gennaio, mi prendo un caffè con un amico - inizia Lelle -. Due giorni dopo lui fa il tampone e mi avvisa di essere positivo. Io ovviamente mi preoccupo e il giorno successivo mi reco a Platamona con mia moglie, per eseguire a pagamento un test rapido. Dopo 20 minuti l'esito: sono positivo al Covid, mia moglie no. Comincia il mio isolamento a casa".

"Non sto male - continua Rubino - nessun sintomo, nessun colpo di tosse, solo una leggera febbriciattola. Mi regalano un saturimetro, per misurare l'ossigeno nel sangue. Cominciano i guai: i valori sono troppo bassi: 90, 87, 84, sempre più giù. Sabato 23 un'ambulanza mi porta al pronto soccorso di Sassari. Mi fanno una Tac: polmonite. E vengo ricoverato nel reparto Covid, in Viale San Pietro".

Lelle Rubino a casa (Foto Tellini)
Lelle Rubino a casa (Foto Tellini)
Lelle Rubino a casa (Foto Tellini)

A questo punto per Lelle Rubino inizia il vero dramma ."La sera mi mettono subito il casco, non me lo dicono, ma sono grave. Domenica 24 nella mia stanza arriva un altro paziente. Si lamenta, è cosciente. Dopo poche ore le sue condizioni peggiorano, i medici fanno di tutto per salvarlo, ma all'indomani l'uomo muore. Il mio morale è sotto i tacchi, anche se tutti nel reparto cercano di tirarmi su. Mi danno un sacco di medicine, mi eseguono continui prelievi, con flebo attaccata. Non posso muovermi, non posso mangiare, nel casco c'è solo una specie di finestrella, dalla quale mi danno da bere". Iniziano i tempi più duri. "Pochi giorni dopo in stanza viene ricoverata un'altra persona. Sta male, si strappa il casco, grida. Dopo una notte terribile neanche lui ce la fa. Il mio morale sprofonda. Tento di resistere. Ho solo le mani libere e un telefonino, che mi collega col mondo. Sulla mia bacheca di Facebook scrivo delle mie condizioni, metto pure una foto. Mi arrivano migliaia di like e di messaggi di affetto e di forza da tutta la Sardegna: una potente medicina che mi solleva il morale, un'iniezione di fiducia che mi fa pure commuovere, però le lacrime e i sospiri di pianto appannano il casco. I medici e gli infermieri mi rimproverano amorevolmente. Tra i tanti messaggi anche quelli di amici, giornalisti, sportivi, calciatori, di persone che neppure conosco. Una bellissima manifestazione di affetto. E poi la mia meravigliosa famiglia, mia moglie Teresa, i miei figli Pietro e Gianni, i miei nipotini: non mi hanno lasciato solo un istante. Prometto a me stesso che non posso morire. Miglioro infatti, piano piano. Me ne accorgo. Il respiro - puntualizza Lelle - si fa meno affannoso. Dopo qualche giorno mi tolgono il casco e mi mettono la maschera. Almeno potrò mangiare".

Dietro l'angolo il lieto fine. "Il 5 febbraio mi tolgono anche la maschera. Tre giorni dopo, l'8 febbraio, risulto negativo al virus. Guardo le partite su Sky e chiacchiero col mio nuovo vicino di Calangianus. Il 16 febbraio vengo dimesso dall'ospedale: il personale mi fa anche un applauso e io mi emoziono di nuovo".

Per Lelle Rubino arriva infine il rientro a casa: "Una gioia immensa ritrovare la mia famiglia, tenere in braccio i nipotini - spiega - Sono dimagrito 15 chili, ho le gambe ancora molto esili. Però mi sto rimettendo in sesto e di questo ringrazio i medici meravigliosi che mi hanno curato. Leggo molto e parlo con gli amici. Ancora però non sono uscito di casa. Non me la sento. Ma lunedì farò una piccola passeggiata. Camminando per strada mi sembrerà di tornare indietro nel tempo, quando un giorno feci su e giù nella linea laterale, segnalinee in una partita casalinga della Torres, con i sassaresi in tribuna che mi applaudivano".
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