Le ha portato via per sempre l'affetto della mamma quando aveva appena sette mesi. Ora la figlia di Dina Dore fa causa per danni al padre, Francesco Rocca, condannato all'ergastolo per quell'omicidio. Una citazione davanti al Tribunale di Nuoro per risarcimento danni depositata lunedì dal tutore legale della figlia del medico di Gavoi, per mano dell'avvocata Anna Maria Busia. Citazione che arriva in concomitanza con l'udienza del processo civile che oggi - nelle cause radicate dalle sorelle e dalla madre dell'omicida - dovrà stabilire a chi appartiene il patrimonio di Francesco Rocca, difeso da Angelo Manconi.

La scelta

Solo sei mesi fa Francesco Rocca, in tv, nella trasmissione Storie Maledette, aveva ribadito la sua innocenza: «Gli inquirenti trovino l'assassino dal Dna, lo facciano per Dina» disse riferendosi a una traccia di Dna (fino ad ora mai attribuita a una persona e quindi definita di Ignoto 1), trovata su un nastro che servì a immobilizzare Dina fino a soffocarla. Ora però è la figlia a chiedere i danni.

Risposta all'offensiva giudiziaria dei familiari di Rocca che hanno promosso le cause civili avanzando pretese sull'eredità del dentista gavoese. Anche se le stesse sorelle di Francesco hanno sempre sostenuto di voler intestare tutto alla bambina.

Rocca è già stato condannato al risarcimento dei familiari di Dina Dore, ma non della figlia. «Finalmente, speriamo di far ottenere a quella povera bambina il risarcimento dei danni patiti perché il tutore di allora non si era costituito parte civile», commenta l'avvocata Annamaria Busia, spiegando la necessità della causa per colmare quella scelta.

Il delitto

La svolta che portò in carcere il dentista di Gavoi, persona nota in tutta la Barbagia, come la sua famiglia, arrivò il 28 febbraio 2013. Dina Dore morì cinque anni prima: la sera del 26 marzo 2008 nel garage della sua abitazione, in via Sant'Antioco, nel centro storico di Gavoi. Venne ritrovata nella notte dentro il bagagliaio della sua Fiat Punto. I killer la chiusero lì, dopo averle stretto il nastro per pacchi sulla testa, fino a soffocarla. La figlia di pochi mesi venne ritrovata sul seggiolino, per terra. Rocca, quando tornò a casa, diede l'allarme. Scattò il piano antisequestri perché il rapimento finito male fu la pista della prima ora.

Tutto però cambiò nel febbraio 2013 quando assieme a Rocca in carcere finì Pierpaolo Contu, minorenne all'epoca dei fatti. Il ragazzo (condannato a 16 anni come esecutore), amico del dentista con cui andava a caccia, uccise Dina Dore in cambio di soldi, 250 mila euro. Il marito, secondo le sentenze, è il mandante. La ricostruzione del supertestimone Stefano Lai, che riferì le confidenze di Contu, diventa così verità processuale fino alla sentenza della Cassazione del 2019.

Mi hai tolto la mamma

Ora, tramite il tutore legale, la figlia fa causa al padre. Nell'atto di citazione l'avvocata Busia sottolinea come le ripercussioni di natura morale e psicologica subite siano «gravissime ed indiscutibili, tenuto conto dell'inimmaginabile dolore e patema d'animo sofferto dalla minore, oltre che della giovane età della vittima, della futilità delle motivazioni del delitto e della sua inconcepibile efferatezza».

Si sottolinea come la prematura perdita della mamma abbia aperto una ferita nel cuore della bambina che non potrà mai essere rimarginata avanzando la richiesta di un risarcimento massimo con danno da perdita parentale, esistenziale e biologico.

Fabio Ledda

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