Niente da fare. I camion a cielo aperto, carichi di veleni provenienti dal nord e centro Italia, restano con il freno a mano tirato. Immobili e invisibili, nel piazzale dentro il porto di Cagliari. I tre camion che mancano all'appello, degli undici sbarcati tre notti fa nel molo di Ponente, li hanno intercettati gli agenti in borghese e la pattuglia della Guardia di Finanza davanti alla sbarra d'uscita del porto. Sono usciti da quel varco ma in discarica non sono mai arrivati. Sembravano spariti dall'orizzonte, ma sono ricomparsi a due passi dal carcere di Iglesias. Le immagini aeree sono emblematiche.

Vicolo cieco

Due dei tre camion sono adagiati sul vicolo cieco della zona industriale della città mineraria, il terzo è nascosto dentro il piazzale di un terreno recintato, con tanto di villa e capannone, alla periferia della vecchia Zir iglesiente. Fermi, ormai da quarantotto ore, con il carico di veleni sul pianale. Bloccati a 15 km dalla discarica della Riverso. Sui fatti non esistono versioni ufficiali. Il mancato arrivo dei mezzi nel catino dei veleni è un mistero. In realtà i soggetti che stanno seguendo la vicenda amianto sollevata dall'inchiesta del nostro giornale sono diversi. I laboratori di analisi, prima di tutto. L'obiettivo è quello di verificare la corrispondenza del materiale trasportato con quanto dichiarato nei Fir, i fogli identificativi dei rifiuti. A questo si affiancherà anche il riscontro con le insegne dei big bags, i grandi sacchi, un metro cubo circa di veleni per ognuno, con i quali è stato trasportato dal nord e centro Italia quel tipo di rifiuto. E' scontato, però, che non si tratta di terra per concimare rose e fiori.

Simboli di morte

Le insegne dei veleni sono fin troppo evidenti: una "a" minuscola con carattere ciclopico, sfondo nero scritta bianca. E, poi, un esplicito avvertimento stampato, bianco su rosso, su ogni sacco: «attenzione contiene amianto». Il simbolo non tralascia l'allarme sanitario: «respirare polvere di amianto è pericoloso per la salute». In ogni contenitore sbarcato a Cagliari il cartello è incollato in modo indelebile ad ogni fusto.

Norme blindate

Le norme sul trasporto dei rifiuti, dopo le drammatiche vicende legate alla terra dei fuochi, sono diventate sempre più stringenti. I rifiuti, quelli pericolosi a maggior ragione, in base alle norme vigenti, devono essere identificati in maniera chiara e indelebile. Se fuori c'è scritto amianto, dentro ci deve essere amianto. Sul caso della discarica Riverso, montagna dei veleni di proprietà della famiglia campana dei Colucci, si aggiunge, però, più di un precedente. Con note ufficiali di Provincia e Regione più volte si è ribadito il divieto di importare rifiuti pericolosi e non dal resto d'Italia. La società, però, non ne ha voluto sentire di rinunciare a fare soldi a palate incrementando a dismisura il proprio bilancio. Nel 2017, quando ancora non era iniziato il viaggio dei veleni dal Continente, incassava 3 milioni e 720 mila euro. Dal 2018 la slot machine dei rifiuti ha cominciato a far arrivare i rifiuti pericolosi dal nord e centro Italia. Gli incassi sono diventati un fiume in piena, direttamente proporzionali ai metri cubi di amianto e sostanze pericolose interrate in quel compluvio tra Gonnesa e Carbonia.

Incassi record

Nel 2018 il balzo porta gli introiti a 10 milioni e 332 mila euro, nel 2019 a 13 milioni. In appena due anni si registra un più 204% sul 2017. Un business da mille e una notte congegnato con gli intermediari di questi viaggi verso la Sardegna. Società che mettono nero su bianco affermazioni che la Riverso fa proprie: siamo costretti a portare i rifiuti pericolosi in Sardegna perché non esistono discariche nel Nord e centro Italia. La delibera della giunta regionale che impone il divieto all'importazione dei rifiuti smentisce senza mezzi termini quella giustificazione costruita a tavolino. E' l'Ispra, l'istituto di protezione ambientale del Ministero dell'ambiente, che mette nero su bianco le disponibilità delle discariche in Lombardia e nel Lazio, le due regioni dalle quali arrivano i veleni nell'Isola. In Lombardia esistevano già dal 2018 una decina di discariche per rifiuti non pericolosi e due per pericolosi. Nel Lazio esistevano 4 discariche per rifiuti analoghi. Dati certificati che fanno crollare la tesi della Riverso e aprono le porte alla palese violazione della norma sulla "prossimità", quella che impone che i rifiuti vadano smaltiti nel luogo più vicino al quale sono stati prodotti. Una norma europea, nazionale e regionale che il Tar Sardegna e il Consiglio di Stato hanno ribadito e rafforzato con sentenze chiare e inequivocabili.

Volano polveri

A Serra Scirieddus volano polveri di ogni genere. I teleobiettivi inchiodano immagini eloquenti di veleni che finiscono sottoterra. I camion rossi, carichi di rifiuti pericolosi, per adesso, restano fermi.

Mauro Pili
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