Tangeri non è più il paese di terra e sabbia impresso nella pellicola sgranata del "Tè nel deserto" del grande regista Bernardo Bertolucci. Niente più romantici tradimenti davanti a quella gru vintage sulla costa illibata del fronte opposto di Gibilterra. Finite le attraversate nel deserto con cammelli in fila indiana per solcare le sinuose colline di sabbia rossa. Più che la porta dell'Oceano Atlantico verso l'Europa ora, quel varco d'acqua di 14 chilometri tra Spagna e Marocco, è diventato un vero e proprio cancello per entrare nel Mediterraneo. Traguardando lo stretto d'ingresso nel Mare Nostrum dal fronte spagnolo, sino a poco tempo fa, si riusciva a scorgere l'ardita catena montuosa dell'Atlante, 2.500 chilometri di dorsali imponenti dispiegate lungo il confine tra Marocco, Algeria e Tunisia.

Montagne di container

Ora, deserto e montagne, si infrangono sulla fredda prospettiva di un muro di gru imponenti e grattacieli infiniti di container. E' rimasto poco o niente di quei villaggi scolpiti nel fango, di quei ruderi impreziositi da portali incisi come un ricamo. Il romanticismo d'un tempo in questa terra di Marocco si è infranto come neve nel deserto. Grattacieli e luci fantasmagoriche, come una Las Vegas in Africa, si insinuano in quella che un tempo era la foce della Medina, il cuore del centro storico verso il mare. Qui è persino sparito il tanfo antico del pesce essiccato che schiaffeggiava l'aria in ogni vicolo di quel labirinto infinito. Ora il tempo non è più scandito da meridiane artigianali incastonate nelle pareti rivolte al sole.

100.000 navi

A segnare il passare delle ore sono quelle 100.000 navi che ogni anno solcano quel minuscolo tratto di mare indispensabile per entrare nel Mediterraneo dall'Oceano Atlantico. Mohammed VI, Re illuminato del Marocco, ha pensato bene di riscattare la propria povera terra desertica con una vera e propria sbarra d'ingresso nelle acque occidentali. La sfida è stata lungimirante e incalzante: intercettare il 20% dei traffici mondiali che proprio da lì, davanti alla costa marocchina, dovevano obbligatoriamente passare. Da qui il piano strategico per costruire in dieci anni il più grande porto del Mediterraneo.

60.000 posti di lavoro

A un tiro di schioppo dalle imponenti Colonne d'Ercole, a ridosso della battigia, sono sorte, con la velocità della luce, infrastrutture imponenti, dalle piattaforme portuali alle aree industriali, oltre 2000 ettari per realizzare un piano di sviluppo legato al Terminal container che in quell'enclave ha già creato 60.000 posti di lavoro.

Terra di tradimenti

E' qui che si è consumato un tradimento che sconfina nelle violazioni contrattuali e nella premeditazione del fallimento del Porto Canale di Cagliari. A contribuire non poco alla nascita di questo immenso porto da nove milioni di container è stata la tedesca Contship che in meno di 5 anni ha messo fuori uso il terminal cagliaritano per puntare tutto sullo scalo marocchino. Missione compiuta. Con un sincronismo studiato a tavolino i coniugi Contship hanno chiuso Cagliari e aperto il nuovo terminal Tanger Alliance (Tc3) a Tanger Med 2. Operazioni di carico e scarico avviate a inizio 2021 in alleanza con la Hapag Lloyd, la stessa compagnia di trasporto che ha lasciato di punto in bianco Cagliari per spostare i suoi traffici in terra di Marocco. Tutto previsto, visto che l'Hapag Lloyd, guarda caso, è diventata nel porto di Tangeri socia al 10% proprio della Contship, la società concessionaria del Porto di Cagliari. Nel porto sardo mai un investimento, bloccati e spariti 60 milioni di euro per comprare gru di nuova generazione. A Tangeri, invece, otto ciclopiche gru, ultima generazione, su 800 metri di banchina con un'area di piazzale pari a 36 ettari, a fronte dei 40 di Cagliari. Investimenti veri, con tre hub portuali, su un'area di mille ettari e una piattaforma industriale di altri 1.600 ettari. Scelte nette e chiare quelle del governo del Marocco, senza farsi condizionare dai poteri forti e tantomeno dai giochi sottobanco dei player mondiali del mare.

88 miliardi

In tutto, in dieci anni, quella che fu una landa desertica è divenuta la scommessa più importante per la vera primavera del Magreb. Spesi, tutti visibili, 88 miliardi di euro per infrastrutture, 35 dello Stato e 53 degli investitori privati. Novecento imprese coinvolte e un pil cresciuto a dismisura. Lungimiranza che ha consentito di sfruttare al meglio una posizione straordinaria proprio per quel varco d'accesso al Mediterraneo. Qualcosa, però, nel traffico mondiale del transhipment sta accadendo. Il punto d'incontro tra la domanda e l'offerta dei mari non è un elemento lasciato alla sola geografia. A governare processi complessi, come il trasporto delle merci via mare, sono più fattori, a partire dall'economicità di un punto d'approdo rispetto alla quantità e qualità dei flussi di merci. Un punto di equilibrio in grado di stravolgere convincimenti che apparivano la Bibbia dei mari.

La mappa della Srm (L'Unione Sarda)
La mappa della Srm (L'Unione Sarda)
La mappa della Srm (L'Unione Sarda)

Nuovo baricentro

Il primo anno della pandemia non ha fermato la crescita del traffico container nel mondo consentendo al Centro studi SRM, collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, di mettere nero su bianco uno studio destinato a far riflettere su scelte e strategie nel Mediterraneo. Sino al 2012 il baricentro dei traffici commerciali via mare era certamente Tangeri, sullo stretto di Gibilterra. Gli stessi parametri di analisi di 8 anni fa, economia, mercati, tipologia di navi e di merci, hanno spostato l'asse centrale del Mare Nostrum verso l'Italia, o meglio verso la Sardegna e, in particolar modo, proprio su Cagliari. La rappresentazione grafica, predisposta dal centro studi SRM, e che riproduciamo in questa pagina, è eloquente. Il baricentro delle rotte marittime nel cuore del Mediterraneo si sta lentamente, ma inesorabilmente, spostando dallo Stretto di Gibilterra, e dunque da Tangeri, verso l'Italia.

Avanza la Sardegna

Un'analisi insperata e decisiva per ridefinire le strategie di un Paese come l'Italia che non può certamente lasciarsi sfuggire l'ultimo treno di navi che sfiorerà la Sardegna. Nel Rapporto 2020 Italian Maritime Economy emergono elementi chiave che provengono dalla tipologia e dalla frequenza delle rotte marittime mondiali. E' bastata un'analisi satellitare per fotografare in maniera puntuale tutti i passaggi di navi portacontainer, valutando e misurando il porto di partenza e la destinazione finale. Il calcolo del baricentro medio è a due passi dalla Sardegna e dal Porto Canale di Cagliari. Il fenomeno, misurato dal 2012 ad oggi, non lascia margini interpretativi: si registra la massima concentrazione dei passaggi via mare in un punto più vicino al cuore del Mediterraneo, all'Italia e in particolare all'Isola degli Shardana, le genti sarde che in epoca nuragica solcavano il Mediterraneo. E che la partita del Porto Canale, come hub centrale nel Mediterraneo, in grado di riconquistare traffici e sviluppo, container e posti di lavoro, non sia chiusa lo si capisce da altri elementi significativi.

Lo scacchiere

Se guardiamo al Mediterraneo nel suo complesso abbiamo tre hub di transhipment fortemente caratterizzati dalle società di gestione, il Pireo in mano alla Cosco, Gioia Tauro alla Msc e Algeciras alla Maersk. Questo significa che gli altri player internazionali hanno bisogno di altri posizionamenti per rompere il dominio di chi ha il proprio porto nel Mediterraneo. A questo si aggiunge che l'altra isola, Malta, ha ormai scarsi margini di crescita. Cagliari, dunque, in questo scenario che sposta il baricentro del Mediterraneo, ha tutte le caratteristiche tecniche per giocare ancora un ruolo strategico e decisivo. Certo, servono condizioni di efficienza, economicità che ad oggi non si intravvedono. Occorre un bando pubblico che renda realmente competitiva la concessione del Porto Canale di Cagliari, inserendola in un quadro strategico funzionale ad un investimento così rilevante.

La lezione di Taranto

La dimostrazione è Taranto. Dopo cinque anni di inattività il terminal container è nelle mani di Yilport e Cma Cga. Yilport, gruppo turco, è il 13esimo operatore mondiale. Con loro anche una partnership dei cinesi di Cosco. Cma Cga è, invece, considerata la terza compagnia nel mondo per numero di rotte effettuate e porti toccati. Puntano subito a 500 mila container per, poi, saturare la capacità di movimentazione del terminal con due milioni e mezzo di contenitori.

Vietato sbagliare

Il bando per l'affidamento del porto terminal di Taranto, come si può leggere nella tabella di comparazione con quello del Porto Canale di Cagliari, aveva resa competitiva, sotto ogni punto di vista, l'attrazione di investitori. A Taranto hanno offerto un porto da 100 ettari, 2.100 metri di banchina, 8 gru Panama, 2 gru super Panama e 22 gru di piazzale con zona franca doganale non interclusa di 100 ettari, per un canone annuo, senza penali, di un milione e 800 mila euro. A Cagliari, invece, meno della metà della superficie, 40 ettari, zona franca interclusa di appena 6 ettari, senza nemmeno una gru, visto che si noleggiano dal Cacip, fuori dalla concessione, con penali e canoni aggiuntivi variabili, per ben 2 milioni e 136.000 euro. Non ha partecipato nessuno. Ora, però, il centro del Mediterraneo è più vicino a Cagliari. Vietato sbagliare altre mosse.

Mauro Pili
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